Si sentono dimenticati. Non si sentono protetti. Molti non hanno un lavoro fisso o fanno lavori saltuari e spesso vivono nelle periferie dove l’urgenza della vita quotidiana mal si sposa alle questioni di bandiera, al candidato di sinistra, di destra o a quelli nel mezzo. In una democrazia liberale l’astensione in sé non è necessariamente il sintomo di un malanno del sistema – non votare è una scelta come quella di non perdersi neppure una votazione – ma può diventarlo se assume una connotazione sociale e si concentra nei ceti più poveri e meno garantiti.
Queste elezioni amministrative, primo turno e ballottaggi, hanno messo in evidenza un’astensione per ceto sociale in grandi città italiane (ma non solo) come Roma, Torino e Milano. Quei ceti e quella gente che erano andati a votare, soprattutto alle precedenti comunali di Roma e di Torino, per le candidate dei 5 Stelle Virginia Raggi e Chiara Appendino han disertato i seggi.
Non ci credono più, dopo aver avuto l’illusione di esser rappresentati dai grillini. I 5 Stelle da critici del sistema si sono fatti a loro volta casta&sistema e sono al governo dell’Italia dal 2018. Quanto alle città, non le hanno amministrate benissimo. E questa somma ha partorito il totale. I quartieri benestanti voticchiano. Le periferie, dove la pandemia ha accentuato il disagio, no.
Questa è la ragione per cui l’astensionismo oggi rappresenta un problema. Perché è la spia di una frattura sociale che una democrazia matura dovrebbe saper ricomporre in fretta.
di Massimiliano Lenzi
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