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Giorgia Meloni come il Napoli

Giorgia Meloni e il Napoli: lei e uno scudetto

C’è un 30% di elettori da tempo “in cerca d’autore”. Un flusso di consensi fluido e mutevole che ha delle conseguenze sul sistema politico e sull’attuale premier
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Non sono pochi quelli che, specie dopo il grave infortunio politico-comunicazionale sui benzinai, preconizzano la prossima fine della luna di miele di Giorgia Meloni con gli italiani. Taluni si confermano in questa opinione compulsando sondaggi dove FdI flette di qualche decimale o altri dove la fiducia nell’inquilina di Palazzo Chigi e il suo indice di gradimento hanno la freccia all’ingiù.

Vero o falso? Non c’è dubbio che l’elettorato abbia dimostrato negli ultimi anni di essere assai fluido e di poter modificare i rapporti di forza tra partiti e movimenti anche in maniera clamorosa. Come pure è del tutto legittimo che chi soffre nel vedere la destra al potere e la sua leader tagliare il traguardo storico di prima donna capo di governo enfatizzi ogni segnale negativo o refolo di disaffezione. Tuttavia sarebbe bene interrogarsi e analizzare più a fondo le ragioni che spingono gli italiani a premiare questo o quel leader e perché, dopo averlo innalzato, sgretolano il piedistallo che gli hanno costruito.

Senza volerla fare troppo lunga, diciamo che da quando il ciclone di Tangentopoli ha disarticolato i partiti della prima Repubblica, il sistema Italia non è riuscito a trovare un punto d’equilibrio efficace e duraturo. Percentuale in più o in meno, c’è un solido 30% di elettori che potremmo pirandellianamente definire in cerca d’autore. Si tratta di quello che una volta si sarebbe chiamato blocco sociale e che adesso, con minor enfasi, viene considerato flusso di consensi. Quel 30% non è coeso e spesso si nutre di parole d’ordine (e di identità politica) opposte. È un magma che non ha abbandonato l’investimento sulla politica pur se la ritiene al di sotto delle necessità e che dunque – più che da un’adesione sincera verso destra, sinistra o altro – è pervaso da un sentimento di disperazione che si esplicita in una sorta di «Proviamo anche questi, chissà».

Questo 30% si è indirizzato all’inizio degli anni Novanta verso Silvio Berlusconi, l’uomo dal sole in tasca che prometteva benessere e arricchimento senza distinzioni. Poi si è lasciato ammaliare da Matteo Renzi e dalla sua clava rottamatrice. Successivamente ha impugnato l’apriscatole di Beppe Grillo per azzerare la casta in ogni sua manifestazione. Per ultimo si è rovesciato su Giorgia e sulle sue promesse. In sostanza, prima ha creduto nel successo facile e nella fiducia nelle potenzialità del Paese; poi nella messa al bando dei vecchi professionisti che abitavano a sinistra; poi di fronte alle ripetute crisi economiche ha premiato il diserbante grillino e ora cerca rassicurazione nella destra “legge e ordine” (all’italiana, s’intende) capace di difendere quel che i cittadini hanno comunque accumulato, tralasciando se sia frutto di evasione fiscale, scarso rispetto del territorio, familismo amorale e produttività sottoterra.

Dove porta tutto questo è semplice: finché la Meloni incarnerà l’aspettativa di rassicurazione e blindatura delle necessità, finché questo maestrale soffierà alle sue spalle non c’è timore che possa trovarsi in difficoltà. Sia che l’opposizione continui a boccheggiare sia che riprenda fiato. Il mainstream nei suoi confronti non è politico bensì pre-politico. Non un pensiero definito ma un umore prevalente. Basta vedere le fughe in avanti e le retromarce del governo, la guerriglia sulla giustizia e i vari Cospito, le accise e i capricci degli alleati: lei ne resta indenne.

Insomma, il punto è che – se le considerazioni precedenti sono vere – Meloni è come il Napoli: solo lei può perdere lo scudetto. Ovviamente non sarà sempre così. Ma quel 30% è la vera combinazione per aprire la cassaforte della vittoria. Chi se ne impossessa vive tranquillo.

di Carlo Fusi

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