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Giorgia Meloni, da sola al comando nell’Italia degli astenuti

È sola al comando Giorgia Meloni. Il guaio è che lo è nel deserto della legittimazione, con gli italiani che fanno segnare il record di astensionismo dal voto

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Giorgia Meloni, da sola al comando nell’Italia degli astenuti

È sola al comando Giorgia Meloni. Il guaio è che lo è nel deserto della legittimazione, con gli italiani che fanno segnare il record di astensionismo dal voto

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Giorgia Meloni, da sola al comando nell’Italia degli astenuti

È sola al comando Giorgia Meloni. Il guaio è che lo è nel deserto della legittimazione, con gli italiani che fanno segnare il record di astensionismo dal voto

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È sola al comando Giorgia Meloni. Il guaio è che lo è nel deserto della legittimazione, con gli italiani che fanno segnare il record di astensionismo dal voto

C’è una donna sola al comando e la sua maglia è rosa: per appartenenza di genere e perché ha vinto per distacco il Giro politico d’Italia. È sola al comando: mentre lei taglia il traguardo i suoi competitor sono lontani, piantati in salita.

È una donna sola al comando, Giorgia Meloni, e tutti giustamente si chiedono ora cosa farà, con chi dialogherà e chi al contrario snobberà (vero Silvio?), quali saranno le priorità della sua agenda e soprattutto con chi eventualmente la concorderà. I maligni dicono direttamente con il suo specchio. Al quale, con lo sguardo tagliente da underdog – finalmente emancipata con pedigree purissimo filtrato dalle urne – chiederà con nonchalance chi è la più potente del reame, ottenendone una risposta obbligata: sei tu. Solitariamente tu.

È sola al comando Giorgia. Il guaio è che lo è nel deserto della legittimazione. Gli italiani che sono andati a votare alle regionali hanno segnato il drammatico primato dell’assenteismo e tutti i partiti – vincitori e vinti, FdI compreso – hanno perso voti. Di conseguenza il quesito vero diventa con chi, fuori dal Palazzo e nel vivo del Paese, la Meloni concorderà e gestirà quel potere che ora la riveste come un manto magico.

Già. Puoi annunciare tutte le mirabilie che vuoi, promettere riforme e cambiamenti con gli effetti speciali ma a che serve se i cittadini – a parte quelli del tuo cerchio magico più o meno strumentalmente allargato – non ti si filano, ti voltano le spalle e rimangono a casa sul divano perché fa freddo, perché tanto già si sa come va a finire, perché tanto sono tutti uguali e via compitando.

È sola al comando, la presidente del Consiglio. E lo spauracchio sta nel fatto che il deserto che la circonda contiene poche e poco attrezzate forme di estensiva persuasione e quella vox (o vocetta, se si preferisce) clamantis nel malmostoso disinteresse degli italiani suona stiracchiata e scarsamente suadente.

È sola al comando, Giorgia. Bello, bellissimo per lei, ovviamente. Però c’è il risvolto della medaglia e cioè che la cambiale di fiducia che deve ottenere non gliela devono riconoscere le aule parlamentari, oramai trasformate in ring penosi o perfino penosissimi (ciao Donzelli), né gli alleati più o meno riottosi muniti al massimo di pistole ad acqua e neppure gli oppositori per responsabilità tutte loro sparsi e confusi, bensì la testa e il cuore dei cittadini.

Sola, solissima da record com’è, la presidente del Consiglio ha il compito di convincere un elettorato sfibrato e disincantato che vale la pena seguire quel che succede dalle parti di Palazzo Chigi perché ne va della loro vita, del benessere e del futuro di uno degli Stati più industrializzati e ricchi al mondo.

È sola al comando, miss Meloni. Ed è una solitudine che atterrisce perché, quando parli a nome del 10% reale di aventi diritto, la realtà ti strattona e costringe a guardarti attorno per capire se hai audience o se è tutto un effimero Metaverso. L’urgenza vera, genuinamente contundente, della presidente del Consiglio è riappacificare gli italiani con la politica e con gli strumenti che la democrazia offre, primo fra tutti l’esercizio del voto.

Altrimenti la sua minaccia è di diventare una performance strabiliante e storica ma rivolta a un pubblico di assenti. Magari a qualcuno dei suoi famigli potrà apparire una questione senza senso: che importa di quanti votano, alla fin fine abbiamo vinto no? Ed è ciò che conta. Non è così. Conta, eccome, anche come si vince. Perché se in ultimo è l’impraticabilità del campo a stabilire il verdetto finale, quella ottenuta sarà una vittoria mutilata. Lo diceva Gabriele D’Annunzio. Che morì solo al Vittoriale, nel mausoleo della sua gloria. Di Carlo Fusi

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