I tre malefici di Giorgia Meloni
Il consenso di Giorgia Meloni si consolida ma non tiene conto di tre malefici: la stessa maggioranza, l’opposizione e infine gli italiani. Che non credono a niente e a nessuno.
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I tre malefici di Giorgia Meloni
Il consenso di Giorgia Meloni si consolida ma non tiene conto di tre malefici: la stessa maggioranza, l’opposizione e infine gli italiani. Che non credono a niente e a nessuno.
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Il consenso di Giorgia Meloni si consolida ma non tiene conto di tre malefici: la stessa maggioranza, l’opposizione e infine gli italiani. Che non credono a niente e a nessuno.
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Il consenso di Giorgia Meloni si consolida ma non tiene conto di tre malefici: la stessa maggioranza, l’opposizione e infine gli italiani. Che non credono a niente e a nessuno.
Giorgia Meloni può dormire sonni tranquilli. Il suo consenso non subisce flessioni, anzi si consolida sul 30%: se non proprio il doppio rispetto al secondo partito, i Cinquestelle, siamo lì. Mentre è quattro volte quello dei suoi alleati. Mica male. Adesso ha anche superato Salvini sui social e buone notizie arrivano perfino dal terreno più scivoloso, quello economico. La Ue? Beh, senza non si può fare. Ma anche Bruxelles senza l’Italia fa testacoda. Quando non puoi battere i tuoi nemici, alleati con loro. Lo dicevano i Romani: chiedere al professor Michetti.
Giorgia Meloni può dormire sonni tranquilli. A patto di cullarsi nel mare ipnotico della conquistata popolarità e così trascurare gli scricchiolii che provengono da tre malefici strutturalmente italici che nessun Morfeo può sanare.
Il primo e più importante è annidato nel cuore stesso della maggioranza. Il destra-centro è per molti bello da vedere ma assai complicato da gestire. Il passaggio dalla leadership di Berlusconi a quella di Salvini e infine, a suon di voti, piombato sulle spalle della numero uno di FdI ora a Palazzo Chigi, è un processo assai traumatico. Di fatto la coalizione che governa è la vera nemica di sé stessa, come il passaggio parlamentare della legge di Stabilità ha confermato. Il virus autodistruttivo che la contamina può essere contenuto, ma serve una capacità politica (ci torneremo) che al momento è poco più di un bagliore all’orizzonte.
Il secondo maleficio è un’opposizione non solo frantumata ma incapace di elaborare una strategia preparatoria a succedere a chi oggi guida il Paese. Per il Pd la sconfitta del 25 settembre ha assunto le dimensioni di una rotta. L’ultimo dei candidati in ordine di tempo alla segreteria – Gianni Cuperlo, persona degnissima – spiega che «è in gioco la sopravvivenza stessa del partito». Una volta a destra c’era l’uomo della Provvidenza. Ora a sinistra quello della sopravvivenza. Come finirà nessuno può dirlo. Alla stregua della maggioranza, anche il Nazareno è percorso da spinte disgregatrici. E la sconfitta, com’è noto, esacerba le differenze, non le ripara.
Poi c’è il partito di Conte. L’ex presidente del Consiglio tritura il lessico e agita le piazze, senza che si scorga un disegno chiaro. Alla lunga, la protesta finisce come la panna montata. Oppure monta sulle barricate: sbocchi entrambi poco auspicabili. Infine il terzo polo, unico segmento dove un po’ di politica fa capolino. Ma bisogna debellare l’ipertrofia dell’Io: facile a dirsi, difficilissimo a farsi. E comunque ci vuole tempo, forse un’intera legislatura. Una maggioranza non coesa e un’opposizione sostanzialmente imbelle: i due pilastri di ogni sistema democratico da noi barcollano in stereofonia. È la crisi di sistema tante volte denunciata e mai concretamente affrontata. È un enigma come un Paese che ha voluttuosamente gettato nella spazzatura la politica – salvo poi piangersi addosso chiedendo dove sia finita e perché non risolva i problemi – possa affrontare le sfide che lo attendono e addirittura varare riforme di sostanza (vero ministro Nordio?) sfidando l’impopolarità, come assicura la presidente del Consiglio che ambisce a cambiare l’Italia anche a costo di non ricandidarsi.
C’è infine il terzo maleficio. Sono gli italiani, che non credono più a niente e a nessuno. Disposti a sostenere il leader che in quel momento meglio esprime la loro rabbia e le loro preoccupazioni, salvo poi frettolosamente disarcionarlo quando le promesse fanno un frontale con la realtà. Insomma: buon anno. In fondo siamo un popolo pieno di risorse. Basta sfruttarle.
di Carlo Fusi
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