Il fiume di veleno fra politica e magistratura
Da più di trent’anni scorre tempestoso e straordinariamente inarrestabile il fiume avvelenato dello scontro fra politica e magistratura
Il fiume di veleno fra politica e magistratura
Da più di trent’anni scorre tempestoso e straordinariamente inarrestabile il fiume avvelenato dello scontro fra politica e magistratura
Il fiume di veleno fra politica e magistratura
Da più di trent’anni scorre tempestoso e straordinariamente inarrestabile il fiume avvelenato dello scontro fra politica e magistratura
Da più di trent’anni scorre tempestoso e straordinariamente inarrestabile il fiume avvelenato dello scontro fra politica e magistratura
Il Giorno della marmotta. L’eterno e stordente ritorno del sempre uguale. Da più di trent’anni scorre tempestoso e straordinariamente inarrestabile il fiume avvelenato dello scontro fra politica e magistratura. Che l’ultima vicenda, con le ‘comunicazioni’ spedite dal procuratore di Roma Lo Voi alla presidente del Consiglio Meloni, al sottosegretario Mantovano e ai ministri Piantedosi e Nordio – relativamente all’arresto prima e al rilascio poi con tanto di accompagnamento a Tripoli su un aereo di Stato di Almasri, capo della polizia libica nonché torturatore colpito da mandato d’arresto internazionale – amplifica a dismisura.
Non un rivolo carsico bensì un liquame che inquina il sistema democratico. E produce un sentimento di avvilimento e sconcerto non soltanto fra i protagonisti del braccio di ferro ma soprattutto nei cittadini. I quali, come spiegano consolidati sondaggi, non si fidano delle toghe (ritenute poco obiettive). E tantomeno della politica, visto che il 50% e più diserta stabilmente le urne.
Quello fra magistrati, esponenti politici e membri del governo – non esclusa appunto l’inquilina di Palazzo Chigi – è un atteggiamento di reciproca delegittimazione. Che produce frutti nefasti e dal quale non si vede possibile via d’uscita. Con atteggiamenti contraccambiati che enfatizzano il dissidio invece di usare lealtà bipartisan per sedarlo.
Se il Parlamento approva una riforma come la separazione delle carriere fra pm e giudici, è legittimo criticarla nel merito e contestarla nell’impianto complessivo. Ma che senso ha inscenare una protesta nell’avvio dell’anno giudiziario, sbandierando la Costituzione che peraltro all’articolo 111 prescrive che il processo si svolga in regime di parità fra accusa e difesa con il giudice terzo? Forse che governo e maggioranza in quel modo attentano alla Carta? Se così fosse bisognerebbe chiamare i cittadini alla rivolta, altro che sventolìo di copertine. Quanto la cosa sia inverosimile è sotto gli occhi di tutti. Se il Parlamento legifera svolge il suo ruolo, indipendentemente se la norma piace o meno. Ma altrettanto fuori luogo, improprio e perfino pericoloso è parlare di presunte ‘vendette’ giudiziarie per provvedimenti contestati.
Su un fronte specificamente politico, richiamare la difesa dei confini o la sicurezza del Paese su vicende che attengono al gigantesco e irrisolto tema dell’immigrazione o rifarsi alla ragione di Stato in presenza di atteggiamenti e decisioni confuse e contraddittorie come l’arresto e il rilascio di Almasri – usando il megafono della difesa personale invece del timbro della compostezza – evoca fantasmi inquietanti e piazza nuovi esplosivi su un terreno già abbondantemente minato.
È insensato e profondamente sbagliato lasciar trapelare voglie di ritorsione verso una magistratura accusata di politicizzazione. Con effetti, come nell’ultimo caso, stranianti. Tutto infatti si può dire del procuratore Lo Voi tranne che sia una ‘toga rossa’ che mira ad attentare alla stabilità dell’esecutivo. Alla stessa stregua, voler far passare per ‘atto dovuto’ la comunicazione dell’avvio di un procedimento giudiziario per favoreggiamento e peculato (reati non certo di secondo piano), come se un qualunque esposto fatto da un cittadino qualsiasi potesse automaticamente e meccanicamente determinare risvolti giudiziari, è un non senso logico prima ancora che fattuale.
Al dunque il fiume avvelenato della guerriglia fra toghe e politici continua a scorrere senza fine. Anzi con tanti che si ingegnano a favorirne il percorso. Non si può processare la ragion di Stato, pure se praticata con imperizia. Non si possono denunciare macchinazioni o complotti da parte di chi è chiamato ad applicare le leggi senza apparentemente curarsi delle conseguenze. La marmotta sta lì e non si muove. Inutile domandarsi cosa resterà dell’ennesimo scontro: una scia destabilizzante di critiche e sospetti, una bava tossica di inquietante e reciproca squalifica.
Di Carlo Fusi
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