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Il forbito (troppo) Giuli

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Dall’infosfera globale, all’ipertecnologicizzazione, fino all’apocalittismo. Gli interventi incomprensibili del ministro della Cultura Giuli

Giuli a Francoforte

Il forbito (troppo) Giuli

Dall’infosfera globale, all’ipertecnologicizzazione, fino all’apocalittismo. Gli interventi incomprensibili del ministro della Cultura Giuli

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Il forbito (troppo) Giuli

Dall’infosfera globale, all’ipertecnologicizzazione, fino all’apocalittismo. Gli interventi incomprensibili del ministro della Cultura Giuli

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È un caso oggettivamente interessante quello del neo ministro della Cultura Alessandro Giuli, chiamato in tutta fretta a sostituire il suo predecessore Gennaro Sangiuliano, travolto dall’ancora incredibile caso-Boccia.

Giuli si è presentato alle Camere con un intervento in tutta franchezza incomprensibile ai più, aulico, ricco di citazioni “alte”, ma così alte da aver bucato l’atmosfera per poi perdersi nello spazio. Fra le perle: “Di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia, delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare: l’entusiasmo passivo che rimuove i pericoli dell’ipertecnologicizzazione e, per converso, l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa”.

Non contento, alla Fiera del Libro di Francoforte – probabilmente la fiera in materia più importante al mondo – ha rincarato la dose scegliendo ancora dichiarazioni fra il surreale e l’imitazione (riuscita benissimo) delle leggendaria supercazzola di “Amici Miei”: “Posso dire che siamo qui per riaffermare la centralità di quel che si può chiamare pensiero solare, il punto d’incontro tra la rigidità delle ideologie, della battaglia delle idee, che si discioglie nella luce meridiana dello spirito mediterraneo”.

Quel parlare forbito all’estremo, per nascondere nel caso cinematografico la totale mancanza di contenuti reali e in quella del neo ministro non si sa bene se una ricerca ossessiva della patente di “uomo di cultura“ o la banale voglia di far vedere di “sapere“, di aver molto studiato.

In entrambi i casi, una performance sostanzialmente inutile e in qualche misura controproducente, per un motivo molto semplice: il ministro della Cultura non deve essere un uomo di cultura, deve far marciare la cultura. Che è cosa molto diversa.

Non deve essere (non necessariamente, almeno) un accademico, non deve parlare in un modo che risulti del tutto incomprensibile al 99% dei concittadini, ma mettere a fattor comune e far fruttare il più grande, clamoroso e impareggiabile patrimonio storico artistico che esista al mondo.

Tutto il resto, fra citazioni dotte e quella che finisce per apparire quasi una manifestazione di insicurezza, non conta nulla. Che parli pure facile, all’occorrenza facilissimo, e faccia lavorare come si deve uno dei ministeri più importanti in assoluto di questo benedetto Paese, che ne ha già troppa di gente che parla, parla e non si capisce bene cosa voglia dire.

Di Fulvio Giuliani

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