RiSentiti
| Politica
Il governo ha preso a usare un tono risentito, come se le critiche alle cose che fa siano dei fastidi evitabili, come se non siano stati loro per primi a rimaneggiare e cambiare o annunciare di modificare quel che aveva ancora l’inchiostro governativo fresco
RiSentiti
Il governo ha preso a usare un tono risentito, come se le critiche alle cose che fa siano dei fastidi evitabili, come se non siano stati loro per primi a rimaneggiare e cambiare o annunciare di modificare quel che aveva ancora l’inchiostro governativo fresco
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Il governo ha preso a usare un tono risentito, come se le critiche alle cose che fa siano dei fastidi evitabili, come se non siano stati loro per primi a rimaneggiare e cambiare o annunciare di modificare quel che aveva ancora l’inchiostro governativo fresco
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AUTORE: Davide Giacalone
Il risentimento è improduttivo e in politica una pessima bussola (chiedere a Enrico Letta). Quando si governa non solo è irragionevole, ma può creare danni notevoli. Se poi è il frutto della difficoltà che si incontra a conciliare le cose che si dissero per prendere voti con quelle che è opportuno fare una volta che si è vinto, allora è un segno brutto assai. Il governo ha preso a usare un tono risentito, come se le critiche alle cose che fa siano dei fastidi evitabili, come se non siano stati loro per primi a rimaneggiare e cambiare o annunciare di modificare quel che aveva ancora l’inchiostro governativo fresco. Quell’atteggiamento è sbagliato. Non va taciuto, perché non stiamo parlando di questa o quella forza o personalità politica ma del governo italiano. Del nostro governo.
Le cose dette dal sottosegretario Fazzolari – sulla Banca d’Italia e il suo essere influenzata dalle banche private che ne detengono il capitale – sono uno strafalcione che poteva andare bene in un comizietto presso la sezione rossa del Partito comunista marxista leninista o presso quella nera del fascio combattente, ma non può stare in bocca a un governante. Ovvio che le cose dette dalla Banca d’Italia possono essere discusse, ci mancherebbe, ma non in quel modo sguaiato e insensato.
Ma non è solo quello. È una buona cosa che la presidente del Consiglio, capo di un partito certo non noto per la passione europeista, reclami che ci sia più Unione europea nell’affrontare diversi problemi, ma prima di dire che quel che sta facendo non basta varrà la pena di ricordare d’essere alla guida del governo più finanziato da Ngeu. Varrà la pena valorizzare l’intenzione della Commissione europea di cofinanziare l’avvio dei lavori per il ponte sullo Stretto di Messina. Che avrebbe detto Meloni, capo dell’opposizione, se quell’intenzione fosse stata manifestata per un ponte francese di cui i francesi andavano parlando da un cinquantennio? Beh, il ponte sarà nostro. Se sarà. Non ha molto senso dire all’interno che non si riusciranno a spendere i fondi europei e all’esterno che ce ne vogliono di più. Ed è ben vero che lo schizzare in alto dei prezzi energetici potrebbe essere l’occasione di un fondo comune perequativo – quasi assicurativo, nel medio periodo – per i prezzi delle materie prime strategiche, ma quel genere di fondi esistono nelle Unioni, non nelle Confederazioni. E Meloni sostiene la seconda formula.
Ci vuole del tempo, per adattarsi. Va bene. Ma usare quei toni e quei temi risentiti declassa l’Italia da Paese che partecipa alla definizione delle politiche europee a entità dedita al reclamo, per ciò stesso in una posizione e in un ruolo marginalizzati. Reclamare e risentirsi significa essere privi di visione, assumere una postura sindacale, che non promuove ma sminuisce l’Italia. I pugni li batte chi non ha abbastanza testa.
La campagna elettorale (di quasi tutti) è stata impostata all’insegna di un Paese in recessione, da portare finalmente alla crescita. Ma era falso. Spudoratamente falso. Complice un mondo dell’informazione che prima sceglie lo schieramento e poi come dare la notizia. Crescevamo e cresciamo. Più di quanto immaginassimo. È falso che la destra sia arrivata al governo nel momento peggiore della storia d’Italia (che fa ridere, anche solo a dirsi), mentre c’è arrivata in piena crescita. Il che comporta la difficoltà del paragone, andando incontro a un forte rallentamento. Comprensibile, ma chi governa non ne caverà le gambe cercando scuse e colpevoli esterni.
Subito dopo le elezioni ricordammo che la destra vincente era larga e legittima maggioranza in Parlamento, ma minoranza nel Paese. Questo dato politico suggerisce la necessità di cucire, non di strappare. Il governo durerà quanto la legislatura, ma che la legislatura duri cinque anni dipende da come governerà. Le opposizioni sono groggy, ma i vincitori devono trovare il passo e le parole di chi costruisce qualche cosa, non dello sterile risentimento.
Di Davide Giacalone
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