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Il legame atlantico

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Fino agli anni Duemila la politica estera era confinata nei manuali delle università e nei convegni per esperti

Il legame atlantico

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Fino agli anni Duemila la politica estera era confinata nei manuali delle università e nei convegni per esperti

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Fino agli anni Duemila la politica estera era confinata nei manuali delle università e nei convegni per esperti

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Fino agli anni Duemila la politica estera era confinata nei manuali delle università e nei convegni per esperti. Come incarico politico, la Farnesina era un traguardo prestigioso ma anche una specie di cimitero degli elefanti. Le Torri Gemelle hanno cambiato tutto e ora la tragedia della guerra Ucraina-Russia, l’eclissi della leadership americana, la crescita delle destre in Europa e il protagonismo cinese sono fenomeni che da Cenerentola nei pensieri dell’opinione pubblica e nelle preoccupazioni elettorali dei leader di partito l’hanno riportata in primo piano.

I motivi sono quelli elencati prima (ma altri se ne potrebbero inserire), cui va aggiunta una riflessione di fondo finora poco sviscerata perché data per scontata e non lo è. Per decenni noi europei – italiani in primis – siamo vissuti nella bambagia della sicurezza assicurata dagli Usa e dalla Nato, accompagnata dai voli pindarici garantiti dalle ideologie: l’America patria delle libertà da un lato, l’Urss paradiso della classe operaia e della giustizia sociale dall’altro. Il crollo del comunismo e quello delle Torri Gemelle hanno cambiato tutto. È mutato lo scenario geopolitico, di conseguenza alleanze e collocazione internazionale sono tornate priorità. Ma per fare cosa e con quali obiettivi?

Qui da noi abbiamo avuto governi che hanno non colloquiato – che è obbligatorio – bensì civettato con la Cina: atteggiamento assai più scivoloso. E sono in campo capipartito che non nascondono simpatie per Putin, mentre la presidente del Consiglio mantiene un solido legame con Orbán, a sua volta vessillifero degli interessi del Cremlino. La domanda è semplice: può esistere una politica estera italiana scissa dagli Usa, dalla Nato e dalla Ue? Anche la risposta lo è: no. E non soltanto per ragion di opportunità o di convenienza, che pure contano, quanto perché qualunque scelta di politica estera non può non coniugarsi con la difesa di alcuni valori fondanti: nel nostro caso quelli occidentali o, se si preferisce, liberal-democratici.

Facciamo un esempio. Il Mediterraneo rappresenterà l’1% della superficie marina del pianeta ma in esso circola circa un quinto del traffico marittimo mondiale e tra il 15 e il 18% di quello digitale. È evidente che la nostra collocazione geografica ci fa diventare un asset strategico. Possiamo sfruttare questo patrimonio giocando a rimpiattino con Est e Ovest? No, non possiamo. Perché un pezzo tutt’altro che trascurabile della civiltà è nato e cresciuto su queste sponde; perché se non teniamo cari e tuteliamo i valori della democrazia – libere elezioni, liberi partiti, libera stampa, separazione tra potere legislativo, giudiziario ed esecutivo – le nostre potenzialità finirebbero al servizio di regimi autoritari estranei alla nostra cultura e ai nostri interessi.

Troppo spesso questo aspetto viene messo fra parentesi, quasi fosse un orpello rispetto ad altre esigenze: di sicurezza militare, energetica, alimentare. Eppure senza la democrazia tutte quelle necessità finirebbero per essere fagocitate da ben altri interessi e priorità. L’immigrazione clandestina è un problema che preoccupa tutti i Paesi europei e pochi giorni fa il premier laburista Starmer è venuto in Italia per studiare il Piano Mattei messo a punto dal governo italiano che ha drasticamente ridotto gli arrivi. Due governi di colore opposto che dialogano: è immaginabile che questo avvenga senza istituzioni democratiche salde e riconosciute? L’obiezione è nota: altro che democrazia, siamo vassalli degli Usa. In parte è vero. Ma appunto: ancorati a un Paese che nonostante le sue difficoltà propugna la democrazia. Quale autonomia avremmo se cedessimo alle lusinghe dei regimi autoritari? La realtà è che una politica estera, di qualunque genere, può essere svolta solo in un contesto democratico. Il resto è propaganda.

di Carlo Fusi

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