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Il primo giorno di scuola della politica

Il primo giorno di scuola della politica

L’emozione del primo giorno, nelle parole commoventi pronunciate dalla senatrice a vita Liliana Segre. Il resto dello spettacolo politico, però, è stato ben poca cosa.
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Il primo giorno di scuola della politica

L’emozione del primo giorno, nelle parole commoventi pronunciate dalla senatrice a vita Liliana Segre. Il resto dello spettacolo politico, però, è stato ben poca cosa.
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Il primo giorno di scuola della politica

L’emozione del primo giorno, nelle parole commoventi pronunciate dalla senatrice a vita Liliana Segre. Il resto dello spettacolo politico, però, è stato ben poca cosa.
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L’emozione del primo giorno, nelle parole commoventi pronunciate dalla senatrice a vita Liliana Segre. Il resto dello spettacolo politico, però, è stato ben poca cosa.
L’emozione del ‘primo giorno’ è cosa molto bella. Da conservare gelosamente e vivere innanzitutto come impegno. Impegno a studiare, a documentarsi per essere in grado di svolgere un lavoro la cui nobiltà e delicatezza abbiamo progressivamente perso di vista, presi come siamo dal superficiale e autolesionista “dagli al politico” a cui il Paese si è consegnato con entusiasmo negli ultimi lustri. L’effetto paradossale di tutto questo è il progressivo decadere della qualità di quella classe dirigente che si sarebbe dovuta sostituire alla “casta”. Anche quelli che volevano aprire le scatolette di tonno non ci sono più, spazzati via dalla stessa furia iconoclasta che avevano imprudentemente alimentato. Da questo punto di vista, è dal Senato che sono arrivate le parole più importanti e impegnative, pronunciate dalla senatrice a vita Liliana Segre. Scrivevamo ieri di una grande occasione per la destra, alla sua ‘prima’ da partito di maggioranza e quest’occasione è stata tutto sommato colta. La senatrice, presidente designata per regolamento, non si è limitata a condurre formalmente i lavori, ma ha lanciato un messaggio storico-politico di altissimo livello. Ha parlato della sua «vertigine, a 100 anni esatti dalla marcia su Roma, nel presiedere l’Aula». Lei che da bambina fu cacciata dalle scuole del regno per l’infamia delle leggi razziali, ieri sedeva sullo scranno più alto del tempio della democrazia. Ed è infinitamente più che un lacerante ricordo personale. L’ovazione del Senato – nessuno escluso – è andata molto oltre il tributo alla storia di una donna straordinaria. Un riconoscimento che, nel caso di Fratelli d’Italia e del neo presidente La Russa, assume un valore storico oggettivo. Superiore al pur gradevole omaggio floreale alla senatrice e a un discorso di La Russa sin troppo corretto nel tentativo di tenere insieme tutto. Il resto dello spettacolo è apparso ben poca cosa. Il centrodestra è riuscito a eleggere il presidente del Senato, ma non quello della Camera. L’accordo politico è esploso, mentre l’elezione di Ignazio La Russa a Palazzo Madama – senza i voti di Forza Italia – non necessita di troppi commenti. Converrebbe non derubricare le frenetiche trattative, le schede bianche e le astensioni come mal di pancia fisiologici. In realtà, Giorgia Meloni sta faticando più di quanto possa ammettere per trovare un punto di caduta (e qui sta la sorpresa) non tanto con Matteo Salvini, ormai rassegnato a non poter tornare al Ministero dell’Interno, ma con Silvio Berlusconi. Il beu jeste chiesto dal leader a Roberto Calderoli, sfilatosi dalla corsa per la presidenza a vantaggio di La Russa, non è bastato a evitare una sgradevole sensazione di mercanteggiamento lungo l’asse Montecitorio-Palazzo Madama. Che l’elezione dei due presidenti sarebbe risultata connessa era ovvio, ma le modalità sono una sirena d’allarme per il prossimo capo del governo. Crogiolarsi nell’idea di una prova di forza vinta su Berlusconi risulterebbe un pessimo viatico, confermato anche dalle gelide parole del Cavaliere. Al Senato, tutto si sarebbe dovuto risolvere alla prima votazione e invece Silvio Berlusconi – sempre lui – ha pure mandato a stendere la quasi seconda carica dello Stato. La prova di compattezza del centrodestra, insomma, che serviva anche come prova di “fedeltà” chiesta da Fratelli d’Italia al resto della truppa, è andata a pallino. Fra montagne di schede bianche e franchi tiratori, la sensazione era quella dei promessi sposi che si controllano a vicenda il cellulare… Nella trattativa sui ministri, se è vero che Giorgia Meloni ha intenzione di presentarsi al Quirinale con la lista 24 ore dopo il conferimento dell’incarico, siamo al “caro amico”. Come nel caso ben più scivoloso e complesso della memoria storica innescata dalle parole di Liliana Segre, non possiamo che auspicare la più severa presa di coscienza e responsabilità. Il primo giorno di scuola è da sempre anche un giorno di presentazioni, pacche sulle spalle e un po’ di caciara. Poi basta, però.   di Fulvio Giuliani

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