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Il sistema pensionistico andrebbe rivoluzionato, non ritoccato

Nel sistema pensionistico italiano non ha senso immaginare una ‘quota’ comune per tutti.
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Mio padre non è mai riuscito ad arrivare a ‘Quota 100’. È mancato a 99 anni e sei mesi (di età, non di quota). Professore ordinario di Diritto romano, ha insegnato fino a 75 anni e avrebbe continuato volentieri a farlo se l’Università di Roma lo avesse consentito.

Avvocato civilista, ha continuato a ricevere e consigliare clienti fino a 94 anni. Era divenuto progressivamente cieco, ma la testa funzionava ancora bene e si annoiava se non la manteneva occupata. Aveva contribuito alle casse pensioni per oltre settant’anni, ricevendo un beneficio – che considerava vergognoso – pari a una piccola percentuale dei contributi versati.

Ora è ovvio che il caso di mio padre è quasi unico e che non è neppure immaginabile attendersi che un manovale, un pilota di aereo o anche più banalmente un impiegato pubblico debbano continuare a lavorare in età molto avanzata per potere ottenere una pensione.

Ma è questo il punto: non ha senso immaginare una ‘quota’ comune per tutti per aver diritto ad andare in pensione. E visto che l’età limite non può essere uguale per tutti, anche l’aliquota dei contributi annuali necessari a garantire la pensione non può essere uguale per tutti.

A regime, i contributi versati, attuarialmente, devono coprire integralmente i futuri benefici ed è ragionevole immaginare una perequazione a carico dei contribuenti solo per garantire che chi non ha mezzi sufficienti possa ottenere in vecchiaia una pensione dignitosa, anche se non coperta integralmente dai contributi versati.

È giusto che lo Stato, in cambio di questa ‘rete di sicurezza’ offerta a tutti, obblighi i cittadini a risparmiare durante la vita attiva, contribuendo a un fondo pensione pubblico o privato, fino a capitalizzare quanto necessario per coprire una pensione minima. Raggiunto questo minimo, i contributi ulteriori devono essere facoltativi e godere di minori benefici fiscali.

Insomma, il sistema previdenziale italiano ha veramente bisogno di una ‘rivoluzione copernicana’ liberatoria. Più tarda questa riforma e più si continua ad aggravare il costo fiscale della previdenza, più si danneggiano gli interessi delle giovani e future generazioni e dunque, in effetti, il futuro del Paese.

È bene tenerlo presente, ascoltando la cacofonia dei partiti che si accapigliano ancora per arraffare i voti dei nonni e dei padri, immaginando di poterli eternamente pagare a spese di figli e nipoti.

di Ottavio Lavaggi

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