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In difesa della libertà

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Divisioni, fanatismi sulle guerre in corso (e non solo), l’assenza di reale cultura della libertà e il dovere e perfino l’amore per la sua custodia

In difesa della libertà

Divisioni, fanatismi sulle guerre in corso (e non solo), l’assenza di reale cultura della libertà e il dovere e perfino l’amore per la sua custodia

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In difesa della libertà

Divisioni, fanatismi sulle guerre in corso (e non solo), l’assenza di reale cultura della libertà e il dovere e perfino l’amore per la sua custodia

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Se Giovanni Amendola, un secolo dopo la sua morte per mano dei fascisti, fosse qui con noi con chi starebbe? Con Israele o con i palestinesi, con gli ucraini o con i russi? Un aggredito non potrebbe stare con gli aggressori e prenderebbe le difese di Israele aggredito dai terroristi di Hamas. E difenderebbe il diritto dell’Ucraina di difendersi dall’invasione dell’esercito di Putin. Ma – e dovrebbe apparire del tutto evidente, eppur non si sa mai – sono domande e risposte del tutto destituite di senso che, se si vuole, nascondono un bisogno naturale dell’uomo contemporaneo. Avere punti di riferimento oppure Maestri (la parola è bellissima ma ormai del tutto vuota), che non esistono più.

L’assenza di reale cultura della libertà e il dovere e perfino l’amore per la sua custodia

Perché allora porle? Perché c’è qualcosa nella nostra cultura civile che ci fa difetto. Ed è la causa delle divisioni e dei fanatismi che si sono scatenati intorno al dramma della guerra in Medio Oriente e al conflitto alle porte dell’Europa: l’assenza di reale cultura della libertà e il dovere e perfino l’amore per la sua custodia. Ecco perché il ‘caso Amendola’, per quanto risalga a cent’anni fa, è emblematico: perché sono cent’anni di solitudine.

Nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1925 Amendola fu aggredito e bastonato da una banda di fascisti a Bagni di Montecatini. Come si chiamava all’epoca Montecatini Terme. Circa tre mesi prima aveva proposto a Benedetto Croce di scrivere un testo pubblico per rispondere al “Manifesto degli intellettuali fascisti agli intellettuali di tutte le nazioni”, pubblicato sui maggiori quotidiani italiani il 21 aprile 1925. Croce sposò subito l’idea e così nacque il “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, che uscì il 1° maggio su “Il Mondo”, “Il Popolo” e altri giornali.

Un secolo dopo questi fatti e questi manifesti non riusciamo a imparare la lezione. La libertà

Un secolo dopo questi fatti e questi manifesti noi siamo ancora qui senza riuscire a imparare la lezione che ci viene dal pensiero e dalla storia. E che ci serve come l’aria. Una buona democrazia e una decente vita civile si fondano su un’esigenza antitotalitaria. In cui il governo e le istituzioni di una nazione hanno funzioni limitate e non vogliono, non possono, non devono aspirare al controllo totale della vita intellettuale e morale. Nella carne viva e morta della nostra storia nazionale passa il senso del Novecento ma noi – giornali, redazioni, scrittori, fino a giungere ai social – fingiamo di non saperlo. E strumentalizziamo la storia con i vivi e con i morti. E costruiamo un fascismo e un antifascismo da cabaret perché non coltiviamo una verace cultura della libertà.

Le istituzioni libere cadono quando sono attaccate non una ma due volte

La lezione più importante che dovremmo ricavare dal dramma della storia nazionale ed europea è che le istituzioni libere cadono quando sono attaccate non una ma due volte. Da destra e da sinistra. Il figlio di Giovanni Amendola – Giorgio, comunista – una volta notò che il tragicomico della marcia su Roma non stava nel fatto che Mussolini fosse andato da Milano a Roma in vagone letto bensì che il capo dei socialisti, Giacinto Menotti Serrati, fosse in quel momento a Mosca a discutere con i russi su come espellere dal Psi il riformista Turati.

La fine dello Stato liberale in Italia e la fine della Repubblica di Weimar in Germania non sono comprensibili sulla base di una visione manichea della storia (i buoni e i cattivi) e diventano invece trasparenti se riconosciamo che la Prima guerra mondiale, la Rivoluzione di Lenin e il “tradimento degli intellettuali” crearono il secolo dei totalitarismi da cui ancora non ci siamo liberati.

Assistiamo al conflitto cruentissimo tra Hamas e Israele e guardiamo ai bombardamenti russi su Kiev – perché questo facciamo. Assistiamo e guardiamo – ma abbiamo in corpo ancora il veleno totalitario con cui fanatizziamo perfino la nostra gioventù e non ci rendiamo conto che così finiscono le democrazie che, imperfette e proprio perché imperfette, vanno difese con intelletto, sacrificio e perfino amore.

di Giancristiano Desiderio

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