Intercettazioni, strumentali e pilotate
Intercettazioni, strumentali e pilotate
Intercettazioni, strumentali e pilotate
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio è intervenuto su un tema molto delicato ma fondamentale: le intercettazioni. Strumento investigativo utile, come vedremo, ma dal 1992 a oggi utilizzato in maniera che oso definire vergognosa e illiberale. In primis dai pubblici ministeri, con la complicità di alcuni avvocati a uso e consumo della difesa dei propri assistiti e soprattutto dei giornalisti (non mi tiro indietro rispetto anche a mie responsabilità), che non vanno più alla ricerca delle verità occultate ma si limitano alla fotocopia da distribuire in sala stampa.
Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa – che negli anni della prima lotta alla mafia di Corleone e poi in quella contro il terrorismo brigatista individuò anche in questo strumento una nuova e potente arma investigativa – sentì il boss Totò Riina dire: «Ho la Noce nel cuore». La Noce era il popolare quartiere di Palermo in cui era cresciuto. Anni dopo – Carlo Alberto dalla Chiesa era già stato assassinato il 3 settembre 1982 a Palermo proprio su mandato di Riina e altri boss, che per quell’omicidio in via Carini furono condannati come mandanti – grazie alle indagini di Giovanni Falcone siamo venuti a conoscenza di quella intercettazione. Perché in quel tempo l’intercettazione era segreta, utilizzata a scopo investigativo, ed emergeva solo durante il pubblico processo.
Le cose cambiarono durante l’oscuro periodo di Mani Pulite. Ricordo bene l’avvocato Giuliano Spazzali, difensore di Sergio Cusani, che nel 1993 durante un’udienza del processo sbottò contro il pubblico ministero Antonio Di Pietro, gridando rivolto al pubblico che assiepava l’aula: «Basta con il deposito degli atti giudiziari nelle edicole!». Aveva ragione da vendere ma non lo capimmo e per anni siamo andati avanti con questa pratica che denota un degrado e un grave stato di inciviltà giuridica. Le intercettazioni a pioggia servivano anche agli avvocati e in linea diretta ai giornalisti. I difensori le utilizzavano per far sapere ad altri indagati cosa aveva affermato il proprio cliente e i cronisti vi si abbeveravano senza alcun criterio di giudizio, riempiendo paginate di giornali e puntate di talk (orrenda la riproduzione recitata dell’intercettazione) con l’obiettivo di lisciare il pelo al pubblico ministero e allo stesso tempo attaccare l’avversario politico, sovente del proprio editore. Naturalmente il ministro Nordio sa bene che ha di fronte a sé un compito arduo e pericoloso. Le reazioni già ci sono e vengono dagli stessi magistrati. Bravo il Guardasigilli ad affermare: «Mi batterò fino alle dimissioni».
Ci sarebbe poi l’altro punto, di antica data, inerente alla separazione delle carriere. E lì non sarà una passeggiata di salute. Ha detto senza mezzi termini quella che è una sacrosanta verità. Da anni le intercettazioni, checché ne dica Nino Di Matteo, vengono usate per delegittimare – attraverso «la diffusione selezionata e pilotata» – con scopi non di giustizia ma di bassa politica. Del resto, anche l’obbligatorietà dell’azione penale si è tradotta, come ha detto Nordio, «in un intollerabile arbitrio». L’Associazione nazionale dei magistrati ha subito contrastato il progetto del ministro, dicendo un’ovvietà: le intercettazioni sono un importante strumento investigativo. Anche un martello è un utile strumento, sempre che serva per battere un chiodo e non un colpo in testa al proprio vicino.
di Andrea Pamparana
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