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Investire, riformare, scatenare

Il 2023 non deve necessariamente essere un anno di sconfitte e recessione. Serve investire, riformare e cambiare
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Investire, riformare, scatenare

Il 2023 non deve necessariamente essere un anno di sconfitte e recessione. Serve investire, riformare e cambiare
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Il 2023 non deve necessariamente essere un anno di sconfitte e recessione. Serve investire, riformare e cambiare
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Il 2023 non deve necessariamente essere un anno di sconfitte e recessione. Serve investire, riformare e cambiare
Non sta scritto da nessuna parte che il 2023 debba essere un anno di sconfitte e recessione. Tutto sta a non innamorarsi delle sconfitte e della recessione, quali ottime giustificazioni delle mancate realizzazioni. All’alba del 2021 l’Italia era in condizioni miserevoli, sotto il peso di una recessione brutale e con un mondo politico sfasciato. In quelle condizioni abbiamo inanellato un biennio di crescita senza pari nel recente (e anche meno recente) passato. Nessun miracolo, ma fiducia trasmessa a imprese e lavoratori. Troppo facile prevedere malanni in un anno che sarà di rallentamento economico globale, ma meglio prenderla con il piglio di Mario Moretti Polegato (Geox): possiamo crescere, l’Unione europea ha un ruolo crescente, continueremo a vivere in un mondo di scambi globali. Ricordiamoci che noi cittadini Ue siamo meno del 7% della popolazione globale, generiamo il 25% della ricchezza globale prodotta ogni anno e consumiamo il 50% della spesa sociale mondiale. Siamo una ricca potenza, spesso all’insaputa di tanti polemisti europei ma antieuropei. Che la presidente della Commissione europea parli di un fondo comune per lo sviluppo industriale, finanziato con emissioni di titoli europei, è un punto rilevante. Ha ragione il governo tedesco a osservare che molti fondi europei sono ancora non spesi, ma – anziché trarne motivo per battibecchi improduttivi – se ne colga il contenuto rilevante: abbiamo molta energia ancora da mettere a frutto. Che la presidente della Banca centrale europea ribadisca l’opportunità delle scelte anti inflattive, come farà anche oggi (sperando abbia un testo scritto da leggere), è cosa ovvia e rientra nella missione istituzionale, ma anziché avviare geremiadi sarebbe bene osservare che i tassi sono cresciuti (assai meno che negli Usa), che sappiamo tutti che cresceranno di qualche cosa ancora ma che lo spread scende e si tiene basso. Vuol dire che, in assenza di mattane, gli investitori non vedono un rischio maggiore. Il che rende irragionevole che vogliano suggerirlo loro taluni ministri italiani. Oltre tutto, se si ratificasse di gran carriera il Mes, si darebbe maggiore forza al disegno che fu di Draghi e Macron di farne una agenzia capace di assorbire i titoli dei debiti pubblici che la Bce – lentamente e gradualmente – venderà. Con il che il nostro debito pubblico rimarrebbe un macigno, ma poggiato su affidabili colonne. Se il motore produttivo globale rallenterà, nel 2023 avremo una spinta minore dalle esportazioni ma avremo una spinta maggiore dagli investimenti, grazie ai fondi Ngeu. Cerchiamo di fare in modo di non mettere anche quelli nella triste lista del non speso. E avranno un effetto propulsivo fantastico se messi in sinergia con riforme e investimenti privati. Non è una confortante premessa che si discuta di intercettazioni come se fossero la giustizia italiana, per giunta facendo finta di non sapere che si chiamano con lo stesso nome cose assai diverse. Il risultato non sarà sapere chi è più per la giustizia, ma accertare che piacciono le discussioni più inutili. Non è confortante neanche sapere che, come hanno ripetutamente chiarito i conti di “Itinerari previdenziali”, mentre ai pensionati che hanno pagato i contributi si taglia l’adeguamento della pensione a quelli che non lo fecero e hanno le minime si fanno ulteriori regali. Non è rassicurante sapere che la spesa per l’assistenza è cresciuta fra il 2008 e il 2021 del 97,7%, ovvero il triplo della spesa pensionistica, passando da 73 a 144,2 miliardi. Tanto più che i poveri crescono assieme alla spesa per la povertà e si ha la cattiva impressione che non siano i poveri in aumento a generare la spesa, ma la spesa in aumento a generare i poveri, ovvero quanti si mettono nella condizione di potere prendere quei soldi. Recessivo è tenersi strette le idee che generano assistenzialismo, il pietismo senza pietà. Aiutare i poveri non è spendere perché restino tali ma investire, riformare, cambiare, formare e scatenare. Le condizioni ci sono. Di Davide Giacalone

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