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La brigata dei censurati

Messo un po’ da parte il MeToo, oggi abbiamo una nuova categoria che spopola sui media, tradizionali e social: quella del censurato

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Messo un po’ da parte il MeToo, oggi abbiamo una nuova categoria che spopola sui media, tradizionali e social: quella del censurato

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Messo un po’ da parte il MeToo, oggi abbiamo una nuova categoria che spopola sui media, tradizionali e social: quella del censurato

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Messo un po’ da parte il MeToo, oggi abbiamo una nuova categoria che spopola sui media, tradizionali e social: quella del censurato

Per qualche mese hanno tenuto banco le attrici o presunte tali, le soubrette: termine che indicava un tempo una primattrice, una ballerina e cantante di spettacoli di varietà, oggi una partecipante a grandi e piccoli fratelli, isole più o meno famose, talvolta sconosciute al pubblico che non frequenta maniacalmente i social. Questa pletora di cosiddette artiste e vip dello spettacolo sono state protagoniste del MeToo, il movimento di denuncia di molestie e abusi sessuali che prende il nome dall’hashtag diffusosi nel 2017 dopo le accuse rivolte da numerose attrici di Hollywood al produttore cinematografico Harvey Weinstein. Movimento legittimo e condivisibile, laddove ha contribuito a risvegliare in tutto il mondo la questione di genere. Purtroppo, come spesso accade, degli abusi ci si è ricordati (denunciandoli) anni dopo e qualcuna/o – visto che la questione faceva tendenza, che oggi significa like e follower – ha incominciato a farsi vittima nella ricerca quotidiana di fama, sia pure immeritata.

Messo un po’ da parte il MeToo, oggi abbiamo una nuova categoria che spopola sui media, tradizionali e social: quella del censurato. Dopo l’episodio Scurati altri giornalisti, scrittori e intellettuali hanno denunciato di essere stati ‘censurati’ dal nuovo regime instauratosi in Italia, di chiara marca fascista. Lo confesso: essendo sempre stato un moderato, un riformista, un liberale con origini socialiste, sono stato talvolta ‘censurato’ senza però che a qualcuno venisse in mente di dire: «Siamo tutti Pamparana!». Concordo in toto con l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, politico ma soprattutto filosofo: «Macché antifascismo! Non ha più senso questa parola. (…) Dal punto di vista culturale e storico non serve a nulla, non esiste alcun pericolo fascista. È solo propaganda, fatta quando destra e sinistra non hanno altri argomenti». Ha ragione, il vero dramma è proprio questo: non hanno argomenti.

C’è chi chiede a Giorgia Meloni di dichiararsi apertamente antifascista, senza se e senza ma. Personalmente le suggerirei invece di cambiare comunicatori: il caso Scurati è la prova provata di un dilettantismo pericoloso. L’averlo censurato ha soltanto provocato l’effetto rimbalzo, ha decuplicato il contenuto di un compitino e ha dato una discreta pubblicità al rilancio del libro, peraltro molto interessante, con cui lo stesso Scurati vinse il Premio Strega: un romanzo storico su… Mussolini.

Il vero dramma è che i giovani non conoscono nulla del fascismo e dell’antifascismo. Di recente in un liceo i ‘maturandi’ mi chiesero di parlare della Seconda guerra mondiale vinta dagli italiani. Feci loro notare che in realtà l’Italia l’aveva persa. E che il 25 aprile era la celebrazione della Liberazione nel Nord Italia da parte di partigiani di diverse estrazioni politiche con l’aiuto determinante degli odiati americani. Un ragazzo, indicatomi tra i più preparati, mi contestò (non mi censurò) dicendo che dimenticavo deliberatamente (essendo io etichettato come ‘berlusconiano’) il ruolo dei russi. Erano sovietici, ragazzo caro, e in Italia per fortuna non misero mai piede.

di Andrea Pamparana

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