La ricetta tv di Silvio, agonismo e Belle Époque
La ricetta tv di Silvio, agonismo e Belle Époque
La ricetta tv di Silvio, agonismo e Belle Époque
L’agonismo e la Belle Époque. In due parole, nel 1981, Silvio Berlusconi riassumeva gli ingredienti di quella che sarebbe stata una vera e propria rivoluzione culturale (in Italia, prima di allora, l’ultima s’era consumata con il movimento del 1968): quella della sua televisione. Un cambiamento di abitudini e di stili di vita in un Paese sino ad allora avvezzo alla pedagogia televisiva pubblica della Democrazia cristiana e stiracchiato fra due moralismi imperanti: quello cattolico e quello comunista.
Quell’anno, in una intervista a “Tv Sorrisi e Canzoni”, il Cavaliere rivela due ingredienti della sua nascente narrazione televisiva. Alla domanda del perché nel suo canale vi sia tanto sport, risponde schietto: «Pensiamo che allo sport debba essere dato molto spazio: non meno che allo spettacolo. La gente sta diventando, anche psicologicamente, troppo sedentaria. Vediamo di stimolarla all’agonismo. Non crede che questa possa essere una risposta all’aggressività che cova negli animi?». Il disvelamento del secondo ingrediente arriva invece spiegando perché la sua televisione trasmette così tanti vecchi film. Berlusconi è diretto: «Perché costano meno dei nuovi e poi anche perché agli occhi del pubblico gli anni Cinquanta e Sessanta sono già la Belle Époque, anche se allora nessuno se ne accorse. E adesso ci si ritorna volentieri».
In quel «ci si ritorna volentieri» troviamo tutta la sua intuizione culturale e sentimentale: all’inizio degli anni Ottanta gli italiani sono stanchi delle violenze della stagione del terrorismo e pure della cupezza del decennio appena trascorso. Hanno voglia di tornare a vivere appieno. Le televisioni commerciali saranno (anche con alcuni difetti, certo) la riscoperta rivoluzionaria di questa gioia di vivere. Comincia in quel periodo la stagione dell’ottimismo e dell’edonismo così come la crisi della cultura catto-comunista. La ricchezza non si nasconde più ma si può mostrare, come un metro del successo nel proprio lavoro. Volendo usare un paradosso: dopo aver speso decenni a studiare il pensiero di Antonio Gramsci e il significato di rivoluzione culturale, in quegli anni Ottanta la sinistra non si accorge che quella rivoluzione la stanno facendo i programmi televisivi di Berlusconi stile “Drive In” di Antonio Ricci (per citarne uno).
Soltanto fortuna? No, soprattutto talento. Perché, come ha spiegato lo stesso Silvio Berlusconi, la fortuna «è come un jolly in un mazzo di carte, aiuta» ma non risolve la vita. Per quello, occorre la stoffa. Persino in televisione.
di Massimiliano LenziLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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