Le candidature che spaccano… la maggioranza
La vera partita è in Veneto. È lì che la Lega e il suo leader Matteo Salvini non possono assolutamente permettersi di perdere
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La vera partita è in Veneto. È lì che la Lega e il suo leader Matteo Salvini non possono assolutamente permettersi di perdere
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La vera partita è in Veneto. È lì che la Lega e il suo leader Matteo Salvini non possono assolutamente permettersi di perdere
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La vera partita è in Veneto. È lì che la Lega e il suo leader Matteo Salvini non possono assolutamente permettersi di perdere
In Sardegna è finita come si era capito ormai da settimane, con il candidato voluto da Fratelli d’Italia Paolo Truzzu che è riuscito a scalzare il presidente uscente della Lega Christian Solinas. Vero che Solinas è coinvolto anche nella bufera giudiziaria scoppiata proprio a poche ore dalla definizione delle candidature medesime, ma i leghisti sapevano di poter poco o nulla e che la vera partita è in Veneto.
È lì che la Lega e il suo leader Matteo Salvini non possono assolutamente permettersi di perdere. Perché cedere assumerebbe le dimensioni del cappotto subito dal partito della presidente del Consiglio.
E per non perdere in Veneto la strada più logica sarebbe sbloccare l’ipotesi del terzo mandato per i presidenti di Regione, che spianerebbe la strada a una scontata riconferma di Luca Zaia. Solo che sul terzo mandato la Lega è sola, Fratelli d’Italia e Forza Italia non sembrano certo appassionarsi a un tema che vivono come una soluzione di un grande problema per i leghisti e stop.
Nel caso non si arrivasse a questa via d’uscita, il partito del capo del governo ha già avanzato un nome, Luca De Carlo, ma escludere Matteo Salvini anche dalla corsa nel feudo veneto apparirebbe troppo per chiunque. Di sicuro per la Lega e gli equilibri interni alla maggioranza, già messi a dura prova degli ultimi mesi. Se a tutto questo aggiungiamo l’ingombrante personalità dello stesso Luca Zaia il problema si trasforma in un rebus.
Il presidente uscente del Veneto è un big di livello nazionale, una realtà oggettiva che nessuno può far finta di dimenticare, compresi Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Per motivi diversi, entrambi vorrebbero tanto trovare una collocazione al “Doge“, solo che la cosa è estremamente complessa perché di soluzioni di suo gradimento non se ne intravedono e lo stesso Zaia si è sempre guardato bene dallo sbilanciarsi in materia. O meglio, ha sempre parlato del coronamento della sua attività politica legandola all’autonomia differenziata. Quello, però, è un terreno su cui nessuno ha la possibilità concreta di incidere da solo. La partita è squisitamente economica e in tutte le simulazioni di questa terra il risultato è più o meno sempre lo stesso: costa maledettamente troppo.
Così, i Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni) sono stati rimandati alle calende greche e anche per questo sulla testa del presidente del Veneto aleggia un gigantesco punto interrogativo.
Metteteci poi la “battaglia“ dello stesso Zaia su un tema alto come quello del “fine vita” – un merito da riconoscere al presidente veneto che lo ha peraltro ulteriormente allontanato da Matteo Salvini – e capirete perché le candidature rischiano di diventare la cartina di tornasole di una differenza ormai abissale di peso e capacità propositiva fra gli alleati di governo.
Storicamente questo genere di differenze non hanno mai fatto un gran bene all’azione e alla stabilità stessa degli esecutivi.
di Fulvio Giuliani
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