Le contraddizioni interne al centrodestra
Le contraddizioni interne al centrodestra
Le contraddizioni interne al centrodestra
In un sistema compiutamente democratico gli automatismi sono inesistenti o ridotti al lumicino. Esistono procedure costituzionalmente regolamentate a garanzia di tutti e scelte istituzionali la cui responsabilità è chiaro in capo a chi stia. Dunque – e c’è perfino chi ha parlato di colpo di Stato (!) – sostenere che un patto stipulato tra soggetti privati come sono i partiti politici, in base al quale si stabilisce che chi tra di loro prende più voti ipoteca Palazzo Chigi, possa assumere il carattere di vincolo o addirittura di obbligo per chi deve svolgere delicatissime e arbitrali funzioni pubbliche, è del tutto insensato. Di conseguenza la querelle sul tema “incarico di governo”, sollevata da Giorgia Meloni e chiusa con una nota del Quirinale, potrebbe/dovrebbe terminare qui.
Tuttavia ci sono un paio di aspetti sorprendentemente trascurati che meritano di essere approfonditi. Il primo ha perfino un sapore paradossale. Poniamo infatti che invece gli automatismi esistano e la leader di FdI abbia fatto bene a esplicitarli. Ma se esistono debbono valere sempre, sia in entrata che in uscita per così dire. Cioè se Meloni diventa presidente del Consiglio perché la più votata dagli elettori, dagli stessi elettori – automaticamente – si deve tornare se per ventura il suo governo fallisce. Non ci possono essere nuove puntate trasformistiche in base alle quali lo stesso presidente del Consiglio guida due maggioranze di segno opposto. Insomma, se l’automatismo viene invocato deve avere una valenza generale e le stesse forze politiche che a quel dispositivo si appellano ne devono pubblicamente e ufficialmente sottoscrivere un altro in base al quale statuire che se l’esperienza di governo fallisce si ritorna alle urne senza se e senza ma. Alzi la mano chi ha trovato traccia di un simile impegno nei programmi del centrodestra. Inutile chiedersi come mai non ce ne sia traccia.
Il secondo aspetto è più di sostanza. Al di là degli sgambetti reciproci tra Meloni, Salvini e Berlusconi sul tema, peraltro fondamentale, dell’indicazione del presidente del Consiglio, la realtà è che non esiste alcun terreno sul quale la triade mostri di avere uguale visione ed esprimere simmetrica indicazione politica. La questione della politica estera è stranota e al tempo stesso strainquietante. Ma altrettanto lo sono le scelte economiche tra i paladini dello sfondamento di bilancio e quelli del rispetto dei “non possumus” di Mario Draghi; o quelle giudiziarie che oppongono Carlo Nordio a Giulia Bongiorno. Non è robetta: sono i percorsi sui quali deve snodarsi l’azione di governo una volta che il centrodestra dovesse vincere le elezioni. Per carità di patria sorvoliamo su quello che dovrebbe essere il piatto forte identitario della triade: il presidenzialismo. Sul quale ognuno esprime valutazioni e indicazioni diverse, come se ciascuno dei partner in cuor suo sapesse che si tratta di un traguardo impossibile da tagliare. Ed è allo stesso modo meglio tacere – ma guai a ridimensionarlo – sul tema del rapporto con l’Europa: FdI, FI e Lega militano ciascuno in un gruppo diverso nel Parlamento di Strasburgo. Una Babele al posto della dovuta sintonia.
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