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Sangiuliano Boccia

Le figuracce e le domande impossibili

Il caso ha del clamoroso nella sua assoluta prevedibilità: un ministro finito sulla graticola per un rapporto di carattere personale che più “classico“ non si potrebbe

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Le figuracce e le domande impossibili

Il caso ha del clamoroso nella sua assoluta prevedibilità: un ministro finito sulla graticola per un rapporto di carattere personale che più “classico“ non si potrebbe

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Le figuracce e le domande impossibili

Il caso ha del clamoroso nella sua assoluta prevedibilità: un ministro finito sulla graticola per un rapporto di carattere personale che più “classico“ non si potrebbe

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Il caso ha del clamoroso nella sua assoluta prevedibilità: un ministro finito sulla graticola per un rapporto di carattere personale che più “classico“ non si potrebbe

Il caso ha oggettivamente del clamoroso nella sua assoluta prevedibilità: un ministro finito sulla graticola – trascinando con sé un intero governo e in particolar modo la presidente del Consiglio – per un rapporto di carattere personale che più “classico“ non si potrebbe.

Sono i protagonisti ad averci fornito tutti i dettagli necessari e sufficienti a comprendere cosa sia potuto accadere.

Un’ossessiva ricerca di visibilità da parte di una signora, cui il rappresentante delle istituzioni non è riuscito a rispondere con la necessaria freddezza. Imponendo, prima ancora che tenendo, le necessarie distanze.

Il rilievo pubblico, le palesi leggerezze, una frequentazione troppo ostentata e documentata per non essere stata notata da chi di dovere sono temi dalle indiscutibili ricadute politiche. Si pensi che la lunga intervista televisiva al capo del governo di lunedì sera è finita oscurata nei passaggi sull’economia e la guerra da questa vicenda marginale e già vista un milione di volte.

I giudizi sul ministro Sangiuliano non possono che essere severi e la resistenza alle dimissioni richieste (forse) non un grande spettacolo.

C’è un aspetto su cui, però, continuiamo a sbattere la testa e che offriamo alla vostra valutazione, pur consapevoli del piano scivoloso: del ministro si è detto, dei distinguo necessari pure, delle ricadute politiche anche.

Possibile che non ci sia una donna, un uomo, nessuno interessato a una valutazione su quanto un comportamento come quello della signora protagonista della vicenda determini un clamoroso azzoppamento di mille, profondi e impegnati ragionamenti sui generi, l’emancipazione, i riconoscimenti professionali dovuti alle donne in base esclusivamente alle capacità, qualità intellettive ed esperienze lavorative?

Del maschio – in senso generale – siamo sempre pronti a descrivere le debolezze, talvolta persino tragicomiche. L’incapacità di resistere a una caviglia nuda.

Delle donne che in pieno III millennio fanno un uso così disinvolto, imbarazzante e sconcertante del proprio apparire non possiamo dir nulla, perché abbiamo il terrore di essere massacrati dal politicamente corretto, da un certo pensiero unico nell’evoluzione dei rapporti fra i generi.

Abbiamo posto sempre e comunque la donna nella condizione di vittima o di legittima vendicatrice di passati soprusi e l’uomo in quello di incorreggibile marpione o di espiatore di secolari peccati altrui. Bella roba.

Intendiamoci, siamo fra coloro assolutamente felici di vivere in una società in cui ciascuno è libero di fare ciò che crede, di disporre del proprio corpo e delle proprie qualità e attitudini come preferisce.

Non c’è nulla di moralistico in questo ragionamento, solo la voglia di capire se l’equiparazione fra i sessi possa essere solo una questione di presa di coscienza maschile o se ogni tanto sia necessario una presa d’atto delle tare e dei ritardi nell’altra metà del cielo.

di Fulvio Giuliani

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