I “silenzi” di Giorgia Meloni
I “silenzi” di Giorgia Meloni potrebbero essere determinati da vari motivi: dall’impossibilità di rispondere o commentare ‘a comando’ su temi di straordinaria delicatezza politica
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I “silenzi” di Giorgia Meloni
I “silenzi” di Giorgia Meloni potrebbero essere determinati da vari motivi: dall’impossibilità di rispondere o commentare ‘a comando’ su temi di straordinaria delicatezza politica
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I “silenzi” di Giorgia Meloni
I “silenzi” di Giorgia Meloni potrebbero essere determinati da vari motivi: dall’impossibilità di rispondere o commentare ‘a comando’ su temi di straordinaria delicatezza politica
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I “silenzi” di Giorgia Meloni potrebbero essere determinati da vari motivi: dall’impossibilità di rispondere o commentare ‘a comando’ su temi di straordinaria delicatezza politica
Ieri, su queste pagine, Carlo Fusi ragionava in modo acuto sulla ‘condanna a vincere’ dell’attuale maggioranza di governo e del partito di maggioranza relativa, Fratelli d’Italia. Per insipienza delle opposizioni, vento a favore, condizioni oggettive nazionali e internazionali. Parte del ragionamento riportava poi i ‘silenzi’ della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, interpretati anche come il riflesso di una cultura, di una sindrome del gruppo autoescluso e delle “Compagnie dell’anello” (per citare l’immancabile Tolkien) che in politica sarebbero destinate a perdurare. Tesi affascinante, oltre che interessante, per i suoi addentellati di carattere storico e sociale, alla quale ci permettiamo di contrapporne una parzialmente diversa.
L’ipotesi (anche un auspicio, in tutta onestà) è che i ‘silenzi’ di oggi siano determinati da altro. Innanzitutto dall’impossibilità di rispondere o commentare ‘a comando’ su temi di straordinaria delicatezza politica e capaci di scuotere la maggioranza. Prendete uno qualsiasi dei casi che hanno agitato l’estate e immaginate le conseguenze sulla tenuta della coalizione di un intervento a gamba tesa del capo del governo. C’è poi l’auspicio cui accennavamo: la volontà di segnare un percorso graduale di evoluzione ed emancipazione di un’idea di destra condannata a essere eternamente etichettata come ‘estrema’. Non soltanto dal giornalismo nostrano, anzi più spesso oltre confine.
La presidente del Consiglio che segna rilevanti punti a favore in politica estera e supera tutto sommato di slancio radicate diffidenze a livello internazionale non vediamo proprio come possa immolare tutto questo sull’altare di un Vannacci qualsiasi. Perché i fronti di un certo estremismo-becerismo sono ampiamente presidiati e per loro natura hanno volubili fortune. Qualsiasi progetto di largo respiro non può basarsi sul cavalcare temi buoni per una polemica d’estate o un po’ di canea social. Potremmo non chiederci quanto Giorgia Meloni possa essere sinceramente interessata a un’evoluzione culturale e politica. Sono però sufficienti un po’ di sana convenienza e di tattica per aspettarsi la sua volontà di marcare le distanze da certe narrazioni, che non riescono più a mascherare la voglia di prendersi finalmente una ‘rivincita’ su modelli culturali a lungo predominanti.
Non è in questa sterile battaglia che la presidente del Consiglio può pensare di costruire un’idea di governo capace di gestire il Paese anche solo nei prossimi mesi. La distanza fra temi come il nuovo Patto di stabilità o la colossale sfida dell’immigrazione e le polemiche identitarie care a un pezz(ettin)o d’Italia è scioccante. Chi si muove alla destra di Giorgia Meloni è rumoroso e appariscente, ma le vere praterie restano al centro e lì c’è il vuoto. Il Pd di Elly Schlein non ha alcuna possibilità di piantare le tende in quell’area e abbiamo visto quale fine abbia fatto il Terzo polo. I rimanenti calcoli da fare sono sin troppo semplici e non riusciamo a capire perché Meloni dovrebbe regalare ad alleati o ipotetici avversari una forza elettorale che può essere sua.
di Fulvio Giuliani
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