Una corsa contro il tempo. Siamo al 23 dicembre e la legge di bilancio non è ancora stata approvata nemmeno da una delle due Camere, con il governo che non riesce a trovare un punto di equilibrio fra gli oltre 6mila emendamenti presentati. Non è soltanto un segno di debolezza dell’esecutivo, ma anche il sintomo della grande fibrillazione parlamentare per la prossima elezione del presidente della Repubblica e le sue conseguenze politiche sulla durata del governo Draghi e della legislatura. La legge di bilancio deve essere approvata entro il 31 dicembre, altrimenti lo Stato va in esercizio provvisorio.
Significa che, senza bilancio per il nuovo anno, la spesa pubblica si congela e si possono effettuare soltanto operazioni di ordinaria amministrazione e in limiti rigorosi (un dodicesimo per ogni mese, rispetto al bilancio dell’anno precedente). Sarebbe una grande impasse per il sistema Italia, ma anche un significativo danno di immagine rispetto ai mercati esteri. Del resto, sono oltre trent’anni anni che il nostro Paese riesce a rispettare questa scadenza. Paradossalmente, nei primi anni di vita repubblicana non si riusciva mai ad approvare in tempo il bilancio. Fu così per i primi venti esercizi (dal 1948 al 1968) e soltanto il governo Rumor nel 1969 riuscì a farlo approvare nei termini fissati.
Una eccezione, visto che fin dall’anno successivo la scadenza non venne nuovamente rispettata. Così dal 1978 venne creato il sistema di una legge finanziaria unica che riuscisse a far applicare le regole costituzionali. In verità ci volle qualche anno per farlo entrare a regime, con gli ultimi esercizi provvisori votati ai tempi del governo Craxi nel 1986 e del governo Goria nel 1988. Da allora la legge finanziaria ha cambiato nome e procedura, diventando prima legge di stabilità e poi legge di bilancio, come ora definita.
Sempre approvata nell’anno, anche sespesso con affanni. Perché sappiamo bene che è l’unica legge annuale che viene approvata sicuramente ed ecco allora che tutti i gruppi, tutti i Ministeri e tutti i portatori di interesse cercano di salire su quello che giustamente è stato definito “un treno rapido” nell’immobilismo dei lavori parlamentari.
Ce la faremo anche quest’anno? Lo scorso anno il voto finale è arrivato il 30 dicembre (come anche nel 2018), ma in tale occasione si è rotta la prassi dei tre passaggi parlamentari, lasciando che soltanto il Senato esaminasse il testo, per poi farlo recepire senza modifiche dalla Camera.
Lo stesso sta accadendo quest’anno. Il calendario dei lavori più aggiornato prevede ora l’approvazione al Senato entro Natale e il voto finale della Camera il 31 dicembre. Arrivando per la prima volta all’ultimo giorno utile. Una ennesima pagina di suspence nel complicato intreccio politico che ci accompagnerà fino al voto per il Quirinale.
di Alfonso Celotto
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