Meloni-Fatto, vignette e politica da basso ventre
| Politica
Quanto messo in campo dal Fatto contro Meloni e Lollobrigida lo abbiamo visto da più parti, ma non ce la sentiamo di abituarci alla barbarie
Meloni-Fatto, vignette e politica da basso ventre
Quanto messo in campo dal Fatto contro Meloni e Lollobrigida lo abbiamo visto da più parti, ma non ce la sentiamo di abituarci alla barbarie
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Meloni-Fatto, vignette e politica da basso ventre
Quanto messo in campo dal Fatto contro Meloni e Lollobrigida lo abbiamo visto da più parti, ma non ce la sentiamo di abituarci alla barbarie
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Sulle intemperanze verbali e varie incontinenze ideologiche della maggioranza uscita trionfatrice dalle elezioni del 25 settembre non abbiamo mai mancato di esercitare critiche anche severe. Ultimo e clamoroso caso è quello della pericolosa scivolata del Ministro dell’agricoltura Lollobrigida sull’inesistente “sostituzione etnica“.
Vecchio arnese da suprematisti bianchi armati di bandiere sudiste americane, che altre volte aveva fatto capolino nel nostro sgangherato dibattito sui migranti, ma nessuno aveva ancora affiancato al tema della denatalità. Troppo serio da trattare in questo modo.
Potremmo andare avanti con un bel po’ di esempi, quel che è certo non ci sogneremmo mai di invocare la legge del taglione. Quella suprema indifferenza per i sentimenti delle persone che diventa volontà di colpire il prossimo, applicata con scientifica regolarità dal quotidiano “Il Fatto“.
Proprio nel pieno della polemica sulla “sostituzione etnica“, si è giocato con perfidia e una notevole dose di volgarità sulla parentela fra Lollobrigida e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. In sovrapprezzo, è finita nel centro del mirino dell’attacco politico la sorella del capo del governo, che intuitivamente nulla a che vedere con tutto questo. A meno di non considerare rilevante per il patrio destino che sia la moglie dello stesso Lollobrigida. Una colpa da espiare, agli occhi di chi fa del moralismo una ragione di vita.
È il più classico dei falli di reazione, che su un campo da calcio porterebbe al cartellino rosso istantaneo e che nel ring politico-ideologico del nostro Paese viene considerato da alcuni un diritto: puntare a far male all’avversario. Non criticarlo, metterlo in difficoltà e superarlo sul piano dialettico e delle proposte. No, far male, mettere in ridicolo. Lo abbiamo visto da più parti e da diverse angolature, ma non ce la sentiamo di abituarci a questa barbarie autorigenerante. Ancor meno che vi partecipino coloro che dovrebbero garantire un approccio ragionato e quanto più possibile oggettivo, trasformandosi solo in capi ultras abbagliati dall’ego e dalla notorietà televisiva e social.
Quale squallore la vita politica ridotta ad agguato perenne e alla sistematica e reciproca incapacità di legittimare l’avversario.
di Fulvio Giuliani
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