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Meloni in bilico, in Italia e fuori

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Giorgia Meloni e la sua maggioranza hanno fin da subito sostenuto Kiev e continuano a farlo. In un modo sbilenco, tuttavia: un passo avanti e uno o due indietro. Qual è la prospettiva?

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Meloni in bilico, in Italia e fuori

Giorgia Meloni e la sua maggioranza hanno fin da subito sostenuto Kiev e continuano a farlo. In un modo sbilenco, tuttavia: un passo avanti e uno o due indietro. Qual è la prospettiva?

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Meloni in bilico, in Italia e fuori

Giorgia Meloni e la sua maggioranza hanno fin da subito sostenuto Kiev e continuano a farlo. In un modo sbilenco, tuttavia: un passo avanti e uno o due indietro. Qual è la prospettiva?

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Bene, a che punto siamo? Cominciamo dallo spartiacque di ora e del futuro: la guerra in Ucraina. Giorgia Meloni (con forza) e la sua maggioranza (carsicamente, diciamo) hanno fin da subito sostenuto Kiev e continuano a farlo. In un modo sbilenco, tuttavia: un passo avanti e uno o due indietro. Il punto è: con quale prospettiva? La presidente del Consiglio si è autoesclusa dal gruppo dei Volenterosi o coalizione di Weimar, sostenendo che quei Paesi vogliono inviare soldati e l’Italia no. Ma è così?

Al netto delle schermaglie con Macron (che non aiutano né Roma né Parigi), Germania e Polonia dicono che l’opzione militare non è in campo. Finora. Perché se davvero una prospettiva di tregua o addirittura di pace prendesse corpo – eventualità allo stato semi-inconsistente e speriamo tutti nell’azione di papa Leone XIV – un corpo militare di interposizione e di sorveglianza del confine russo-ucraino (migliaia di chilometri) diventerebbe scelta obbligata.

Chi ne farebbe parte? L’idea che possano essere i caschi blu dell’Onu è inverosimile, visto il potere di veto che hanno Cina e Russia. E quanto alla Nato, in queste ore l’ha rispiegato bene la Casa Bianca: è una guerra europea, se la vedano gli europei. Significa che Trump soldati a stelle e strisce non ne vuole impiegare né ora né dopo. Se è così, che fine farà il ponte che Meloni agogna? In realtà se arriva una qualsiasi forma di pace, soldati italiani a presidiare quel confine dovremo spedirne eccome. Salvo sciaguratamente disancorarci dall’Europa, con costi e perdita di credibilità facilmente intuibili.

Che senso ha perciò (e vale anche per le opposizioni ‘pacifiste’) scavare un solco che poi saremmo costretti a rinnegare? Sull’altro fronte di guerra – la Palestina e Gaza – l’Italia è a fianco di Israele fino a non votare la risoluzione che chiede di sospendere i rapporti con Gerusalemme. Il tutto mentre il ministro della Difesa Guido Crosetto dice che è ora che Netanyahu si fermi. Volendo motteggiare, sembra una riedizione del veltroniano “ma anche”.

Veniamo alle cose di casa nostra. Il copione è sempre lo stesso: Meloni vs Salvini o viceversa, ultimo capitolo quello sul terzo mandato con la clamorosa dissociazione della Lega in Consiglio dei ministri. Nessuno dei due tenta un approccio politico verso l’altro: si limitano a giustapporsi. Con quali effetti di confusione è evidente.

Perciò. Sulla politica estera siamo fermi al “Potrei ma non voglio”. Su quella interna al “Vorrei (la crisi) ma non posso”. Il risultato è che in queste condizioni i pregiudizi sulla inaffidabilità del Paese, spesso infondati o fortemente esagerati per ragioni strumentali, trovano inevitabile conferma. Quale sia il vantaggio di proseguire su questo abbrivio è difficile da capire. C’è chi tira fuori i sondaggi e la ritrosia degli italiani sulla guerra. Oltre Manica, il premier Starmer non ha esitato a riavvicinare la Gran Bretagna alla Ue anche a costo di favorire Farage e compagnia. È una questione di leadership, bellezza.

Di Carlo Fusi

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