Merito
Mentre la gente comune è favorevole al merito nell’81% dei casi, la sinistra procede con delle riserve. Ne abbiamo individuato cinque, tutte piuttosto opinabili.
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Mentre la gente comune è favorevole al merito nell’81% dei casi, la sinistra procede con delle riserve. Ne abbiamo individuato cinque, tutte piuttosto opinabili.
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Mentre la gente comune è favorevole al merito nell’81% dei casi, la sinistra procede con delle riserve. Ne abbiamo individuato cinque, tutte piuttosto opinabili.
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Mentre la gente comune è favorevole al merito nell’81% dei casi, la sinistra procede con delle riserve. Ne abbiamo individuato cinque, tutte piuttosto opinabili.
Da quando Giorgia Meloni ha ridenominato il Ministero dell’Istruzione aggiungendo la specificazione “e del Merito”, ho seguito con una certa attenzione le reazioni di studiosi, giornalisti, scrittori, politici, opinionisti vari. Ingenuamente, mi aspettavo che da sinistra si plaudesse alla novità, memori dell’articolo 34 della Costituzione, finora mai seriamente attuato: «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di accedere ai gradi più alti degli studi». Ho invece constatato che – con pochissime, importanti eccezioni (Massimo Recalcati e Concita De Gregorio) – la maggior parte delle reazioni esprimono riserve più o meno radicali sul principio di premiare il merito e di farlo fin dagli anni della scuola.
Ma quali sono queste riserve? Fondamentalmente girano intorno a quattro concetti, in parte tra loro contradditori.
1. Se il merito è talento più impegno, ma il talento è un dono naturale distribuito in modo ineguale, premiare i meritevoli significa premiarli per un privilegio;
2. (In contraddizione con il punto precedente) In realtà tutti hanno un talento, è compito della scuola scoprirlo e valorizzarlo e se ciò non avviene la responsabilità è degli insegnanti;
3. Puntare sul merito significa incentivare la competizione, trasformando la scuola in una sorta di azienda;
4. Premiare i bravi non stimola la fame di eccellenza ma produce umiliazione, senso di non appartenenza, esclusione, nuovi gap.
Ho ricavato queste informazioni da una sorta di sondaggio personale, effettuato prendendo nota – nel corso di circa un mese (novembre 2022) – di un centinaio di prese di posizione di personalità progressiste provenienti dagli ambiti più diversi. Ebbene, la ripartizione è più o meno questa: favorevoli al merito, meno del 20%; contrari o scettici o problematici, più dell’80%. Fra i contrari o scettici anche Giuseppe Conte, Maurizio Landini, Piero Sansonetti, Deborah Serracchiani, Rosy Bindi, Paolo Giordano, Chiara Valerio, Gustavo Zagrebelsky.
Non entro nel merito della “battaglia del merito”, se non per osservare che è curioso quanto poco scandalo suscitino le enormi differenze di denaro, prestigio e chance di vita connesse a talenti come quelli sportivi, musicali, artistici, letterari e, perché no, anche estetici. Perché non ci sono furibonde rivolte contro i concorsi di bellezza, la meno meritata fra le virtù umane?
Quel che però mi sento di segnalare è una curiosa circostanza. Mentre l’élite che occupa le posizioni di comando nella cultura, nell’editoria, nel giornalismo è risolutamente schierata contro il merito, la gente comune – secondo un recente sondaggio di Ilvo Diamanti – è invece schierata massicciamente a favore (81%). E, cosa ancora più interessante, lo è anche fra gli elettori di sinistra: i favorevoli al merito sono il 75% nell’elettorato di Pd e Cinque Stelle, sfiorando il 90% fra i sostenitori del terzo polo. In breve: l’élite politico-cultural-mediatica è contraria al merito nella scuola, mentre la gente comune (anche se guarda a sinistra) vede il merito come un antidoto alle diseguaglianze.
E i dirigenti della sinistra? Per lo più preferiscono pensarla come l’élite e disdegnare il sentire prevalente fra gli elettori. È poi così strano che questi medesimi elettori non si sentano rappresentati da questa sinistra?
di Luca Ricolfi
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