Mes a caso
Mes a caso
Mes a caso
La politica italiana è quel fantasmagorico cortile dove ognuno gioca a rimpiattino con le realtà nascondendo i propri difetti ed enfatizzando quelli degli altri, sapendo che è un esercizio senza fatica perché nessuno fa davvero sul serio.
Troppo complicato? Ma no, basta guardare la faccenda del Mes e si capisce. Il Meccanismo di stabilità è un accordo che tutti i Paesi dell’Unione europea hanno ratificato tranne noi, e così facendo impediamo che entri in vigore. Lo sanno tutti che alla fine dovremo dire di sì e che la pretesa di negoziare il nostro via libera con la revisione delle regole sui bilanci è un pio desiderio. Di conseguenza Giorgia Meloni, che si rivolge alle opposizioni sgridandole perché non l’hanno approvato a suo tempo, afferma nient’altro che una insensatezza sia per i tempi sia per il merito.
Se un governo deve rispettare un accordo, prendersela con chi l’ha preceduto è un modo furbesco per non dover pagare un salato prezzo alla coerenza, visto che FdI e Lega hanno sempre sostenuto di voler rigettare il Mes. E l’opposizione che si straccia le vesti anch’essa, come si dice, fa solo flanella. Poiché infatti, per quanto depotenziato, il Parlamento esiste ancora come luogo di confronto e di decisione: Pd, M5S e gli altri potrebbero presentare una mozione per costringere la presidente del Consiglio a venire in aula e inchiodarla ai suoi obblighi. Né vale la scusa che i voti non ci sono: sarà così per tutta la legislatura, allora tanto varrebbe starsene a casa e presentarsi solo al momento dell’apertura dei seggi elettorali. La verità è che discutere nel merito le questioni è l’aspetto principale dell’azione politica, pratica che negli ultimi decenni è stata sostituita dalla propaganda e dalla campagna elettorale sine die.
Alle strette: la maggioranza non vuole accollarsi le sue responsabilità e le scarica sull’opposizione e quest’ultima non sceglie altro che abdicare al compito di fare politica, preferendo l’attività declamatoria a fini squisitamente mediatici. Più che rimpiattino, un gioco degli inganni. Quanto sia serio e apprezzabile un simile atteggiamento fatto proprio da entrambe le parti, ciascuno può valutarlo.
Però non basta. A ben vedere, la tarantella sul Mes altro non è che l’ennesima riproposizione delle divaricazioni ineliminabili all’interno della maggioranza e al contempo dell’inesistenza di una praticabile alternativa a questo governo e a questa presidente del Consiglio. Ebbene, volendo provare a fare una considerazione ‘di sistema’, non si può arrivare a dire – come fanno sottovoce perfino alcuni insospettabili – «Teniamoci stretta la Meloni» ma si può ragionare sul fatto che il tesoretto principale di Palazzo Chigi sono la politica estera e l’ancoraggio all’Occidente e che se Giorgia non dovesse farcela quei pilastri rischierebbero di cadere, viste le contraddizioni del fronte opposto sullo stesso versante. E addio ‘sistema’.
Solo che anche lì le certezze vacillano. La possibile vittoria di Trump, la sconfitta dell’Ucraina e il progressivo isolamento di Israele determinerebbero uno scenario da incubo nel quale il sostanziale traccheggiamento del governo italiano non rappresenterebbe più una garanzia sufficiente per una navigazione tranquilla. Per cui se ogni tanto il Palazzo sollevasse lo sguardo dal cortile interno per esaminare con maggiore consapevolezza le questioni di geopolitica e finalmente decidesse di parlarne con linguaggio schietto e veritiero agli elettori, si realizzerebbe un salto di qualità non indifferente. Possiamo continuare a baloccarci con gli invitati ad Atreju o il colore rosso della stella sull’albero di Natale di Roma. Tanto prima o poi la realtà si prenderà la sua rivincita, come accadrà sul Mes. E a quel punto più che i vincitori bisognerà contare le macerie.
di Carlo FusiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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