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Ministri dell’autogol

La vicenda dell’aumento dell’appannaggio per i ministri non parlamentari messa in scena dalla maggioranza serve solo a indebolirla

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Ministri dell’autogol

La vicenda dell’aumento dell’appannaggio per i ministri non parlamentari messa in scena dalla maggioranza serve solo a indebolirla

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La vicenda dell’aumento dell’appannaggio per i ministri non parlamentari messa in scena dalla maggioranza serve solo a indebolirla

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La vicenda dell’aumento dell’appannaggio per i ministri non parlamentari messa in scena dalla maggioranza serve solo a indebolirla

Nella, a volte troppo ipocritamente, rimpianta Prima Repubblica una delle perifrasi più gettonate per attaccare la dabbenaggine o imperizia degli avversari politici (ma più ancora dei rivali interni ai partiti) era che si trattava di figure capaci di impastare polpette avvelenate… e poi di mangiarsele. Un modo sferzante per sottolineare un autogol, una manovra che invece di indebolire gli oppositori si ritorce contro chi l’ha messa in atto.

La vicenda dell’aumento dell’appannaggio per i ministri non parlamentari messa in scena dalla maggioranza appartiene a quelle stravaganti categorie. Per giustificare la scelta si potevano invocare motivazioni nobili, tipo il rifiuto di adeguarsi al copione anti-casta in base al quale ogni soldo speso per pagare i frequentatori del Palazzo è buttato via. Oppure altre di tipo economicista, dove ai titolari di dicastero va riconosciuto per opportunità lo stesso trattamento economico degli onorevoli.

Governo e maggioranza non hanno scelto né l’una né l’altra. Infilandosi in un ginepraio di polemiche ‘aggratis’ e regalando un tanto gentile quanto insperato megafono all’opposizione per alzare i decibel della critica. Di più: alcuni, come il sottosegretario leghista all’Economia Federico Freni, hanno spiegato che parlamentari e ministri fanno lo stesso lavoro e dunque devono essere pagati uguale. Dimenticando che se uno fa il ministro non può fare il deputato o senatore a meno di non avere il dono dell’ubiquità e due cervelli in uno. Non a caso in alcune consolidate democrazie fra i due incarichi c’è incompatibilità.

Lasciamo perdere. Il punto vero è un altro e nasce dalla domanda: ma all’interno dell’esecutivo i titolari di dicastero si parlano l’un l’altro oppure no? E i canali di comunicazione con i capigruppo di Montecitorio e Palazzo Madama funzionano o devono essere urgentemente riparati? È davvero sbalorditivo il fatto che qualcuno (?) decida una misura senza calcolarne l’impatto mediatico e poi sotto il profluvio di bias di media ed esponenti politici avversi – ma anche di autorevoli ministri – si fa dietrofront, segnando appunto il più classico degli autogol. Non sarebbe più conveniente un adeguato confronto preliminare? Sembra una banalità, eppure è il canovaccio che in tante occasioni il centrodestra sceglie di recitare.

Dal che scaturisce anche un’altra considerazione, magari parimenti banale e tuttavia fondamentale. In molti – per ultimo in ordine di tempo Antonio Polito sul “Corriere della Sera” di ieri – suggeriscono alla presidente del Consiglio di compiere un salto di qualità e, invece di vivacchiare, usare il resto della legislatura per realizzare qualcosa di davvero importante. Ecco: non sarebbe parimenti concretamente importante che l’esecutivo mostrasse meno imperizia, meno improvvisazione, diciamo pure meno ingenuità nell’azione di governo?

Prendiamo la manovra, dove peraltro il nuovo regime economico per i ministri era stato inserito. Le mancate riforme costituzionali hanno fatto sì che sia diventato prassi il fatto che l’esame e gli scontri sulle singole misure si svolgano in una sola delle due Camere. Lasciando all’altra il compito di una ratifica formale. Ovviamente ricorrendo al ‘sicuro’ maxi-emendamento su cui apporre un bel voto di fiducia e buon Natale a tutta la famiglia. Tanto è noto che lo spauracchio dell’esercizio provvisorio è falso come i soldi del Monopoli. E che la voglia di passare le feste a casa è, questa sì, caratteristica sfrontatamente bipartisan. Perché allora accapigliarsi sui tempi sapendo fin dall’inizio come andrà a finire?

A meno che, a loro insaputa, governo e maggioranza non abbiano deciso di fare propria la ricetta del teatro brechtiano. Dove, a differenza di quello di tipo drammatico, il finale è noto mentre sconosciuto è l’andamento dell’opera. Se è così, meglio non dirlo alla Meloni. Brecht è autore-simbolo della sinistra: vade retro, giusto?

Di Carlo Fusi

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