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La scelta dei ministri del governo Meloni

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Il commento sulla scelta dei ministri del governo Meloni, che ha dovuto far presto, molto presto, perché sapeva benissimo che ogni ora in più sarebbe risultata un rischio per lei e un’opportunità offerta a Silvio Berlusconi di fare un altro po’ di show.

La scelta dei ministri del governo Meloni

Il commento sulla scelta dei ministri del governo Meloni, che ha dovuto far presto, molto presto, perché sapeva benissimo che ogni ora in più sarebbe risultata un rischio per lei e un’opportunità offerta a Silvio Berlusconi di fare un altro po’ di show.

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La scelta dei ministri del governo Meloni

Il commento sulla scelta dei ministri del governo Meloni, che ha dovuto far presto, molto presto, perché sapeva benissimo che ogni ora in più sarebbe risultata un rischio per lei e un’opportunità offerta a Silvio Berlusconi di fare un altro po’ di show.

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Il governo Meloni è nato. Sul totale di 24, il Ministero di gran lunga più pesante, quello dell’Economia, è andato secondo previsioni alla migliore scelta possibile in ambito “politico” con Giancarlo Giorgetti. Al di là delle competenze dell’esponente leghista – ma mai troppo amico di Matteo Salvini – è un ottimo viatico internazionale la sua recentissima esperienza allo Sviluppo economico nel governo Draghi e la sintonia con lo stesso ex presidente della Banca centrale europea. Concetto su cui torneremo.

Alla Difesa Guido Crosetto, scelta confermata dopo le voci delle ultime ore. Aveva ceduto le sue partecipazioni societarie nel settore, per evitare conflitti di interesse. Non tanto per prepararsi a questo specifico ruolo, anche perché nel mentre è sembrato destinato a una mezza dozzina di poltrone. Vicinissimo a Giorgia Meloni, gode di una stima trasversale nell’intero arco parlamentare, quasi un unicum da questo punto di vista. Personalità “tecniche” agli Interni con il prefetto di Roma Matteo Piantedosi, uomo di fiducia di Salvini e utile a disinnescare mine politiche, come alla Sanità con Orazio Schillaci. Antonio Tajani è riuscito a salvare la promessa poltrona del Ministero degli Esteri, dribblando le intemerate di Berlusconi. Sul personale europeismo e i contatti internazionali dell’ex presidente del Parlamento europeo, peraltro, è difficile dubitare. Il già citato leader della Lega “porta a casa” le Infrastrutture e dividerà con lo stesso Tajani il ruolo di vicepresidente del Consiglio, che risulterà ben diverso da quello a dir poco ingombrante dei tempi del Conte I e della diarchia con Di Maio. Quanto alla Giustizia, “La Ragione” ha già speso parole di elogio sulla scelta di Carlo Nordio. Sia detto con il dovuto rispetto e in estrema sintesi, questo è il meglio.

Giorgia Meloni ha voluto far presto, molto presto, perché sapeva benissimo che ogni ora in più sarebbe risultata un rischio per lei e un’opportunità offerta a Silvio Berlusconi di fare un altro po’ di show.

Si corona così un successo folgorante, un risultato incredibile solo una legislatura fa, quando Giorgia Meloni agiva da socio di ampia minoranza della coalizione di centrodestra, allora dominata dall’astro nascente di Matteo Salvini. Ricorderete le consultazioni del 2018, con il leader della Lega intento a parlare a nome di un’alleanza in procinto di spaccarsi mentre Silvio Berlusconi contava «Uno, due, tre…». Sembra passata un’era geologica. Tutto così veloce e sorprendente da rendere l’immediato futuro un grande punto interrogativo.

Non si tratta di avere più o meno fiducia nel presidente del Consiglio ma di considerare freddamente l’entità della sfida e le condizioni oggettive. Fra queste, le clamorose tensioni apparse come per incanto superate ma impossibili da escludere quando si comincerà a governare. Veniamo da settimane persino surreali in cui la leader di Fratelli d’Italia – con tutta la sua storia, il sovranismo sbandierato e ostentato (confinato ora nella nuova denominazione del Ministero dell’Agricoltura…) – è diventata il paladino dell’atlantismo italiano e l’argine a debordanti posizioni di ispirazione putiniana. Uno spettacolo ai limiti dell’incredibile, che ha costretto Silvio Berlusconi a un’umiliante rincorsa proprio sui temi che il cavaliere ha sempre considerato una specie di prerogativa personale.

Questo centrodestra alla rovescia ha anche aspetti oggettivamente positivi. Paradossi a parte, infatti, la corrispondenza in politica estera fra gli indirizzi di Mario Draghi e quelli di Giorgia Meloni sono un’evidente garanzia. Di più – nessuno si offenda – nella prima fase in cui il nuovo governo sarà sottoposto a un inevitabile “esame del sangue“ in Europa e sul palcoscenico internazionale, la continuità con l’ex presidente della Banca centrale europea è un oggettivo valore. Pensate al commiato riservatogli, con tanto di tweet strappalacrime del presidente del Consiglio europeo Michel: una cosa mai vista con qualsiasi recente capo di governo italiano.

Di Fulvio Giuliani

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