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L’Occidente è un mito che non tramonta

Ci è voluta una figura come Putin per farci riscoprire la dignità e la potenza dell’occidente.
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L’Occidente è un mito che non tramonta

Ci è voluta una figura come Putin per farci riscoprire la dignità e la potenza dell’occidente.
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L’Occidente è un mito che non tramonta

Ci è voluta una figura come Putin per farci riscoprire la dignità e la potenza dell’occidente.
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Ci è voluta una figura come Putin per farci riscoprire la dignità e la potenza dell’occidente.
C’era una volta l’Occidente emerso trionfante dal dramma epocale della Seconda guerra mondiale. L’Ovest degli Stati Uniti d’America, ricchi e potenti, guida indiscussa del “mondo libero”. Il Paese che aveva sostituito di slancio il Regno Unito e la sua antica visione imperiale coltivata negli splendori del XIX secolo. L’Occidente americano, che nella contrapposizione ideologica e materiale con l’Est comunista seppe applicare princìpi di assoluto realismo, aiutando i nemici di ieri (Germania Ovest e proprio noi italiani in primis) a rimettersi in piedi, partecipando alla straordinaria corsa al benessere degli anni Cinquanta e Sessanta. Pensateci, un trionfo con pochissimi eguali – forse nessuno – nella Storia: Paesi piallati nel corpo e nell’anima dalla guerra e dal nazifascismo, in grado di ripresentarsi con dignità al cospetto del mondo, diventando (nel nostro caso) o tornando a essere ricchi in una manciata d’anni. Partecipando di quel comune sentire occidentale che si sedimentò attraverso la way of fife americana. Usi e costumi che divennero ‘nostri’ con stupefacente velocità, mentre oltre la cortina di ferro si precipitava in un cupo, uniforme e straniante grigiore. Il piano Marshall fu una delle conseguenze di Yalta e dell’era dei blocchi, ma se oggi siamo quelli che siamo lo si deve anche alla musica, a Hollywood, ai blue-jeans e agli elettrodomestici. Può sembrare una banalità, per chi è nato nel Terzo millennio o all’ultimo sospiro del Novecento, quando la caduta del Muro sancì il nostro trionfo, la vittoria epocale sull’incubo del socialismo reale e della negazione della libertà. Ne avremmo dovuto parlare con maggiore orgoglio ai nostri figli. C’è voluto un dittatore, un autocrate della peggior specie, un triste emulo degli zar e dei sogni imperialisti della Russia che fu – peraltro imbevuta di cultura europea nelle sue élite – per farci riscoprire quei simboli che ci siamo divertiti per un po’ a picconare, a considerare persino emblema di una decadenza sociale e morale. È stata necessaria un’aggressione illegale e brutale a un Paese democratico e sovrano per farci tornare ad apprezzare quell’insieme di mondi che è l’Occidente. L’Ovest che critica e si critica e lo fa in musica, nella denuncia sociale dell’arte cinematografica o di quella figurativa. Nella stampa libera, coltivata nella nobilissima tradizione anglosassone, che affonda le sue radici nell’Inghilterra vittoriana e nelle prime corrispondenze di guerra. Guarda un po’ i casi della vita, nate nel conflitto in Crimea contro la Russia zarista, quando noi italiani ci guadagnammo un credito politico fondamentale nel nostro processo di unificazione. Quella tradizione per cui si deve vedere con i propri occhi, per farsi un’idea e poter valutare. Ogni tanto ancora oggi lo dimentichiamo, illudendoci di poter sostituire con un post o un tweet la capacità di giudizio sul terreno. Anche questa è una paradossale ricchezza del nostro mondo, perché le democrazie occidentali non si limitano ad accettare la dissidenza, ma la tutelano. Compresa quella che sembra metterne in dubbio i princìpi fondanti. Siamo diversi e migliori anche per questo. I volenterosi propagandisti delle idee putiniane di casa nostra ci fanno girare le scatole, ma non li zittiremo. Troviamo più utile ridicolizzarli. Così come gli anni passano, la Cina è sempre più ricca e potente, ma non riesce a sostituire uno solo dei simboli con cui siamo cresciuti. Persino nel cinema, per soddisfare il suo immenso mercato domestico, Pechino alla fine si è risolta a ingaggiare a peso d’oro le star americane. Perché i cinesi vogliono vedere la versione hollywoodiana dell’Occidente, riconoscono la forza di quel mito imperfetto e disordinato che ancora oggi attira come una calamita decine di milioni di persone. Mentre nessuno, ma proprio nessuno fra chi voglia fuggire dittature, violenza e povertà è così matto da voler andare a vivere a Mosca o Pechino. di Fulvio Giuliani

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