Politica, vuoto a sinistra
La politica diventa una competizione in cui chi ha idee e visioni del Paese le mette in campo nella prospettiva di convincere il più alto numero di cittadini e prevalere nelle urne
Politica, vuoto a sinistra
La politica diventa una competizione in cui chi ha idee e visioni del Paese le mette in campo nella prospettiva di convincere il più alto numero di cittadini e prevalere nelle urne
Politica, vuoto a sinistra
La politica diventa una competizione in cui chi ha idee e visioni del Paese le mette in campo nella prospettiva di convincere il più alto numero di cittadini e prevalere nelle urne
Accreditato nel ‘campo largo’ di notevoli capacità tattico-strategiche, Dario Franceschini ha illustrato a “la Repubblica” la summa del suo pensiero, in sintesi così riassumibile: impossibile e inutile rincorrere gli elettori che disertano le urne; la cosa da fare è organizzare la nostra constituency ormai radicalizzata, meglio se con una leadership in sintonia; mettiamo insieme in un variopinto patchwork tutto quel che possiamo con l’obiettivo di battere il centrodestra, cancellando divisioni del passato e differenze del presente; vinciamo e il resto, come l’intendenza di De Gaulle, seguirà. Chiedersi se le direttrici politiche delineate dall’ex ministro della Cultura siano frutto di realpolitik (senza dubbio) o di idealità (no, grazie) è, diciamo così, vacuo. Più interessante è analizzare i risvolti e le conseguenze del Dario-pensiero, soprattutto alla luce di un successo alle elezioni politiche che Franceschini giudica non soltanto possibile ma addirittura probabile.
Uno dei pilastri dei sistemi democratici è la necessità dell’azione politica di sapersi rivolgere al plenum dell’elettorato
Uno dei pilastri, forse il principale, dei sistemi democratici è la necessità – non una scelta ma un obbligo – dell’azione politica di sapersi rivolgere al plenum dell’elettorato. Così la politica diventa una competizione in cui chi ha idee e visioni del Paese le mette in campo nella prospettiva di convincere il più alto numero di cittadini e prevalere nelle urne. Franceschini rovescia il ragionamento: questi siamo e questi rimaniamo, Schlein ha già fatto molto per recuperare l’astensionismo di sinistra, ora uniamoci e mettiamo da parte percorsi aulici.
Posto che il giudizio sulla segretaria del Pd sia vero, visto che gli astensionisti ormai sono un esercito pari alla metà degli aventi diritto, di quelli non di sinistra che facciamo? Anche qui la risposta è secca: ci pensi un eventuale coacervo di centro ad attrarli, noi ci occupiamo d’altro. D’un sol botto Franceschini abdica a un ruolo politico complessivo del Pd ma anche all’esercizio stesso della politica, che è capacità di rivolgersi a quelli che non la pensano come te per tentare di portarli dalla tua parte. Ricusare il compito e puntare unicamente a stabilizzare i tuoi fan, la tua curva radicaleggiante, significa rinunciare alla politica tout court.
A voler essere luciferini, portato alle estreme conseguenze il ragionamento di Franceschini spalanca le porte al trumpismo laddove teorizza che l’importante è vincere e poi una volta conquistato il potere chi si oppone è un nemico da abbattere. Tornano alla mente le parole di Luciano Violante che nel 1998 (sic!) si rivolse all’aula di Montecitorio spiegando che era giusto puntare a capire le ragioni degli altri «non per una parificazione né per una pacificazione ma perché è fondamentale costruire un concetto unitario di Nazione».
Ed è qui che si apre un altro fronte di analisi
E qui si apre un altro fronte di analisi. Che fine hanno fatto nel Pd gli ex Pci? Dov’è finita la loro cultura e il loro modo di gestire la progettualità politica? Più in generale: a fronte di un protagonismo sempre più accentuato degli ex Dc – da Prodi a Ruffini, da Franceschini a Gentiloni e perfino a Guarini – dove sta un pensiero della sinistra storica adeguato ai tempi e alle sfide del presente? Certo, ci sono i cosiddetti riformisti – da Picierno a Morando, da Gori a Ceccanti – ma la loro voce è flebile e del tutto inascoltata dalla Schlein, che il Pd abbandonò salvo poi rientrare e vincere le primarie, qualcuno sussurra con l’appoggio decisivo dei Cinque Stelle.
Da un lato dunque la rinuncia a usare la rete della politica per ‘pescare’ quanti più cittadini possibile, distanza siderale dall’egemonia gramsciana; dall’altro la messa in un angolo da parte della leadership del Nazareno di una cultura e una prassi che per decenni hanno alimentato l’immaginario e non solo della sinistra in qualunque versione si sia presentata all’elettorato. Inevitabile che nel mare della ‘radicalità’ vagheggiata prevalgano le pulsioni ammantate di populismo in buona parte rappresentate da Giuseppe Conte. Il quale rifiuta (come pure fanno quelli di Avs) la definizione di alleato del Pd: piuttosto compagno di viaggio. Verso Palazzo Chigi, ovviamente.
di Carlo Fusi
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