Schlein resta l’avversaria ideale della Meloni
Passano i mesi e la sensazione che Elly Schlein sia l’avversario ideale di Giorgia Meloni non accenna a diminuire
Schlein resta l’avversaria ideale della Meloni
Passano i mesi e la sensazione che Elly Schlein sia l’avversario ideale di Giorgia Meloni non accenna a diminuire
Schlein resta l’avversaria ideale della Meloni
Passano i mesi e la sensazione che Elly Schlein sia l’avversario ideale di Giorgia Meloni non accenna a diminuire
Passano i mesi e la sensazione che Elly Schlein sia l’avversario ideale di Giorgia Meloni non accenna a diminuire
Ragionavamo ieri sul parallelismo Usa-Italia nell’appiattimento delle rispettive opposizioni sulla “via giudiziaria”. Ampliamo la riflessione sulle caratteristiche dell’opposizione in Italia e il momento politico vissuto dal nostro Paese, in cui si ha la sensazione che l’esecutivo e la popolarità della presidente del Consiglio non possano subire alcun reale scossone nei mesi (anni?) a venire.
È dell’opposizione, però, che vogliamo occuparci oggi e non esiste opposizione che possa prescindere dal Partito democratico. Passano i mesi e la sensazione che Elly Schlein sia l’avversario ideale di Giorgia Meloni non accenna a diminuire. Il Pd a trazione sinistra-radical chic della segretaria ha sinora incarnato l’avversario “perfetto”.
Ha vinto dove non poteva perdere (Emilia-Romagna e Umbria), ha perso dove poteva vincere (Liguria) e dove avrebbe potuto intestarsi un colpo politico di rilievo (Sardegna) ha diviso la torta con un alleato di giornata in difficoltà e nettamente più debole come il Movimento 5 Stelle. Per non farsi mancar nulla, rischia di perdere il piatto per le incredibili incapacità organizzative dell’alleato medesimo.
Sul piano internazionale, i Dem non toccano palla. La segreteria Schlein dà sempre la sensazione che vorrebbe tanto sposare le posizioni genericamente pacifiste in stile pentastellato ma non può e il risultato è il solito ircocervo di sinistra, gonfio di generici appelli alla pace nel mondo che finiscono per scolorire anche i responsabili voti parlamentari a favore dell’Ucraina.
Le mosse di Giorgia Meloni verso l’Amministrazione Trump e lo stesso rapporto personale con il Presidente non sono privi di rischi politici ma le assicurano un protagonismo e una visibilità che gettano le opposizioni (in verità anche i suoi alleati) in un cono d’ombra fittissimo. Per un po’ la si è buttata sul rischio neofascismo da III millennio. In tutta franchezza, un conto è ragionare sui tanti che dalle parti del capo del governo faticano ad accettare di fare i conti con le proprie origini politiche, altro sostenere che con Fazzolari, Musumeci o Lollobrigida si rischi la deriva autoritaria. A tutto c’è un limite.
Resterebbe una strada vicina al sentiment di Elly Schlein: quella dei “diritti”. Un piano probabilmente non decisivo in termini elettorali ma almeno familiare alla segretaria. Ecco, una cifra della Schlein è la prevedibilità: sai già cosa dirà e come lo dirà. In un’intervista di ieri a la Repubblica, ha elencato i temi su cui battere la destra: “Salari bassi, precarietà alta, liste d’attesa lunghe nella sanità e casa”.
Prendiamo i primi due, strettamente inerenti all’economia e al lavoro. Quali sono le sue proposte? La politica industriale della Schlein riporterebbe il Pd allo statalismo e all’assistenzialismo di matrice novecentesca, come emerge anche dal surreale appoggio al referendum contro il Jobs Act votato dal suo stesso partito?
di Fulvio Giuliani
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