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Presidenzialismo

Una Repubblica presidenziale può essere democratica e stabile ma anche diventare l’opposto. È un’illusione pensare che nel modello istituzionale sia racchiuso il destino politico.
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Una Repubblica presidenziale può essere democratica e stabile ma anche diventare l’opposto. È un’illusione pensare che nel modello istituzionale sia racchiuso il destino politico.
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Una Repubblica presidenziale può essere democratica e stabile ma anche diventare l’opposto. È un’illusione pensare che nel modello istituzionale sia racchiuso il destino politico.
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Una Repubblica presidenziale può essere democratica e stabile ma anche diventare l’opposto. È un’illusione pensare che nel modello istituzionale sia racchiuso il destino politico.
Una Repubblica presidenziale può ben essere democratica e stabile, ma può anche essere l’opposto. L’illusione che nel modello istituzionale sia racchiuso il destino politico è più ingenua dell’idea che l’abito faccia il monaco. Presidenziale è il sistema statunitense e presidenziali certe derive latinoamericane, con annesso caudillo. All’Assemblea Costituente il presidenzialismo fu sostenuto da democratici a ventiquattro carati, come i rappresentanti del Partito d’Azione. Successivamente se ne fece portabandiera un gran combattente antitotalitario e capo partigiano, come Randolfo Pacciardi, con il risultato di sentirsi dare del fascista. Oggi è un cavallo di battaglia di Fratelli d’Italia, che raccoglie vasti consensi. Il dubbio è che ciascuno ne parli avendo in mente cose diverse. E conseguenze diverse. La più sciocca delle idee consiste nel credere che i sistemi presidenziali siano più stabili perché, una volta eletto il presidente, a quello vengono consegnati le chiavi e gli strumenti del potere. Non è così neanche nel più solido dei presidenzialismi, quello degli Usa: senza la maggioranza al Senato e alla Camera dei rappresentanti la Casa Bianca vede impallidire i suoi poteri. Alcune esperienze recenti, oltre che presenti, dovrebbero suggerire qualche cosa anche a chi è refrattario allo studio. Lo Stato di diritto resta una cosa del tutto diversa e infinitamente migliore di un dispotismo, il potere non si concentra mai in un posto solo. E non si concentra neppure per quattro anni, negli Usa, visto che due anni dopo le elezioni presidenziali gli elettori, con la scadenza di medio termine, possono ribaltare la situazione. Nelle democrazie governare non è comandare. Far confusione non denota scarsa cultura democratica, ma scarsa cultura. Pensare che con il presidenzialismo ci si toglie di mezzo il parlamentarismo e con il parlamentarismo ci si toglie dai piedi la politica e i politicanti non è neanche ingenuo, ma sciocco. Significa essersi persi non solo qualche stanza della biblioteca, ma anche qualche centinaio di film. Quelli che pensano in questo modo confondono il presidenzialismo con l’autoritarismo, dimenticando che non c’è modello istituzionale che possa mai rimediare all’assenza di autorevolezza. In Europa non abbiamo modelli presidenziali pieni. C’è quello francese, che piaceva a Pacciardi anche in salsa gaullista, ma è un modello semi-presidenziale: il popolo elegge il presidente, ma è il Parlamento a dare la fiducia al governo. E non solo non sta scritto da nessuna parte che le due cose coincidano, ma sta scritto in molte pagine di storia della quinta Repubblica che possano divergere, dando luogo a quella che chiamano “coabitazione”: presidente di un segno politico e capo del governo di diversa parrocchia. Faremmo bene a guardarlo con attenzione, quel modello. Se chiedete in giro per l’Europa, e anche per il mondo, quale fra i nostri governi sembri il più forte e stabile, la risposta dei più sarà: quello tedesco. Che è basato sul sistema elettorale proporzionale e un modello istituzionale non identico, ma simile al nostro. Dove, però, il risultato è stato diverso. Proprio perché l’abito non fa il monaco. In Francia il cambio di passo è stato portato da Charles De Gaulle (che poi cadde perché bocciato dagli elettori). Consisté nel dividere le elezioni in due turni: nel primo voti chi ti è più vicino, nel secondo chi ti è meno distante. Funziona. Almeno fra cacio e lumache. I francesi votano l’anno prossimo e, attualmente, i quattro più forti candidati se la giocano con quote paragonabili di consenso. L’eletto, però, avrà più del doppio dei voti su cui può contare adesso. Solo perché c’è il doppio turno. Noi possiamo pure prendere a ragionare a quel modo, come possiamo infatuarci dei modelli presidenziali, in sé, lo ripeto, democraticissimi. Ma dal 1994 a oggi chiunque vinca le elezioni chi le perde comincia a strillare che si sta creando un regime e si sta strangolando la democrazia. Con questo approccio non funziona manco il sorteggio. Comincerò a prendere sul serio gli infatuati quando sentirò dire: sono per l’elezione diretta del presidente e se, il cielo non voglia, sarà eletto il mio avversario, ebbene, quello sarà il mio presidente. In assenza di ciò continuo a supporre che sia propaganda priva di sostanza.   di Davide Giacalone

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