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Primo bilancio dell’operato di Governo

Luci e ombre del primo mese di operato del Governo, guidato da Giorgia Meloni: l’assenza di un forte messaggio di impatto per l’intero Paese.
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Primo bilancio dell’operato di Governo

Luci e ombre del primo mese di operato del Governo, guidato da Giorgia Meloni: l’assenza di un forte messaggio di impatto per l’intero Paese.
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Primo bilancio dell’operato di Governo

Luci e ombre del primo mese di operato del Governo, guidato da Giorgia Meloni: l’assenza di un forte messaggio di impatto per l’intero Paese.
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Luci e ombre del primo mese di operato del Governo, guidato da Giorgia Meloni: l’assenza di un forte messaggio di impatto per l’intero Paese.
Gli alibi per governo e maggioranza sono due, entrambi fortissimi. Il primo: siamo qui da un mese, di più non potevamo fare, per i miracoli abbiamo cinque anni di tempo davanti. Il secondo: i soldi non ci sono e quelli disponibili li usiamo per il caro bollette. Per il resto, vedi al punto uno. Giusto. Ma forse anche no. Perché pur allontanando la retorica Made in Usa dei cento giorni per far capire che qualcosa è cambiato, è evidente che le cose o le fai all’inizio del mandato quando sei in luna di miele con l’elettorato e i sondaggi ti danno in crescita stabile, oppure il carpe diem si allontana fino a diventare un puntino nello spazio. Potrebbe essere il destino dell’addio al Reddito di cittadinanza, rinviato di un anno per non sollevare proteste sociali che comunque tra dodici mesi nessuno assicura non ci saranno. Alla verifica, il primo “complimese” dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni presenta sparute luci e corpose ombre. La legge di bilancio lo conferma, con misure “obbligate” e prive del respiro della lungimiranza. Dopo lo scontro sull’immigrazione e i decreti sui rave scritti alla bell’e meglio, ha ragione la presidente del Consiglio a dire che si tratta di una manovra frutto di scelte politiche. Le sue, specificamente. Infatti è stata scritta a immagine e somiglianza di FdI lasciando poco o zero spazio agli altri due alleati: sostanzialmente nulla a Forza Italia; qualche spicciolo a Matteo Salvini, ma unicamente in considerazione del fatto che l’ex Capitano appartiene allo stesso partito del ministro dell’Economia, anche se quando un uomo con tante parole incontra un altro uomo con pochi soldi da elargire, il primo è un uomo (politicamente) morto. Ne consegue che ci sono rapporti tra partner da definire, iniziative da concordare, strategie da allineare. È il perimetro di gioco di tutti i governi di coalizione e quello della Meloni non fa eccezione. Il punto politico tuttavia è un altro. Ed è che è fievole fino all’assenza la capacità di un pensiero lungo; mancano la volontà e l’avvedutezza di trasmettere un messaggio di forte impatto non solo al proprio elettorato ma al Paese intero e specificatamente a quella fetta tutt’altro che trascurabile che non ha votato né il centrodestra (se ancora si può chiamarlo così) né alcun altro schieramento. È fievole il senso di un tragitto con paletti ben piantati. La maggioranza è numericamente fortissima e il governo della Meloni non ha alternative, visti lo stato comatoso in cui si trova il Pd, il velleitarismo revanscista e ribellista di Giuseppe Conte e l’allineamento “ideologico” ancora da trovare per il duo Calenda-Renzi. Ciò non toglie che l’aggregato uscito vincitore dalle urne appaia ancora in cerca di un’anima, di un ubi consistam che ne radichi la sostanza nel cuore profondo dell’Italia. Per questo si dibatte tra conferme del Draghi-pensiero e voglia di dimostrare alla propria costituency che ciò che è stato promesso in campagna elettorale verrà puntualmente realizzato. Allo stato sono due whisful thinking (soprattutto il secondo). Perché Meloni non può fare SuperMario ma neppure si capisce ancora dove intenda andare a parare. Al dunque, se non si vogliono schiudere scenari di stampo autolesionistico, sarà giocoforza trovare un equilibrio agli affondi di Salvini e alla malmostosità di Berlusconi. Toccherà invece unicamente alla Meloni, se ne sarà capace, soffiare sulla postura informe del contenitore politico che la sorregge e infilargli dentro un adeguato anelito di vita. È un compito che non può evitare. E una carenza che l’Italia non si può permettere. Di Carlo Fusi

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