Schede a perdere e referendum a venire
Il punto politico, dopo la bocciatura del referendum sull’autonomia, riguarda il destino degli altri cinque referendum ammessi
Schede a perdere e referendum a venire
Il punto politico, dopo la bocciatura del referendum sull’autonomia, riguarda il destino degli altri cinque referendum ammessi
Schede a perdere e referendum a venire
Il punto politico, dopo la bocciatura del referendum sull’autonomia, riguarda il destino degli altri cinque referendum ammessi
Il punto politico, dopo la bocciatura del referendum sull’autonomia, riguarda il destino degli altri cinque referendum ammessi
Che la Corte costituzionale bocciasse il moncherino referendario sull’autonomia differenziata, dopo aver nei mesi scorsi svuotato la legge approvata dal centrodestra, era scontato. Lo ha spiegato bene il costituzionalista pd Stefano Ceccanti: «Alla sinistra, ma anche alla maggioranza, il massimalismo fa male. Insieme ad altri avevo segnalato il nodo insuperabile costituito dalla mancanza di chiarezza del quesito che avrebbe portato a una sorta di plebiscito su un articolo della Costituzione». Dunque i promotori avrebbero fatto bene a ritirare la richiesta di consultazione popolare. Invece hanno insistito e hanno preso una musata. Che poi governo e maggioranza plaudano alla bocciatura è l’ennesima contraddizione: con la doppia sentenza della Consulta, la legge sull’autonomia finisce su un binario morto. E lì resterà, con buona pace del ministro Calderoli.
Il punto politico, adesso, riguarda il destino degli altri cinque referendum ammessi: uno sul dimezzamento (da dieci a cinque anni) dei tempi di residenza legale in Italia per ottenere la cittadinanza e altri quattro – compresa l’eliminazione delle misure che in caso di infortunio sul lavoro negli appalti impediscono di estendere la responsabilità alla ditta appaltante – promossi dalla Cgil su vari aspetti del Jobs Act, il provvedimento varato da Matteo Renzi e dal Pd contro il quale ora si è però schierata la Schlein. Il Pd in sostanza ha promosso d’intesa con Landini un referendum su una legge dal Pd stesso votata: una cinghia di trasmissione al contrario. Meglio: una torsione logica difficile da spiegare. Infatti Ceccanti – e l’area riformista del Nazareno che si è riunita la settimana scorsa a Orvieto – avverte che bisogna dire sì al quesito sulla cittadinanza («È rivolto al futuro») e no a tutti gli altri («Riguardano il passato»). Non sarà l’unico. I referendum rimasti sembrano in realtà fatti apposta per dividere chi li ha promossi.
Com’è noto, affinché il voto sia valido i quesiti devono ottenere il quorum della metà più uno degli aventi diritto, compresi i circa 4,7 milioni di italiani residenti all’estero. Senza esser seguaci di Pitagora, è difficile immaginare che decine di milioni di italiani – che ormai disertano le urne per poco più della metà nelle elezioni politiche e molto meno della metà in quelle amministrative – si precipitino in decine di milioni ai seggi in una data compresa (come prevede la legge) fra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi. La prima incongruenza, solo apparentemente tecnica, sta qui: stavolta, ed è stata una novità, è stato concesso che l’adesione per avviare i referendum fosse digitale, senza però modificare la soglia delle cinquecentomila firme necessarie. Quasi dimenticando che mettere un click è una cosa, recarsi ai seggi un’altra. Senza aver alzato il quorum, raccogliere le firme diventa una specie di gioco di società.
Poi c’è il dato più squisitamente politico. A parte le divisioni fra i proponenti – che soltanto il quesito sull’autonomia regionale avrebbe fatto superare e in assenza di quello il resto è un ululato alla Luna – che succede se vince l’astensione? Prendiamo il caso della legge sulla cittadinanza. Se gli italiani lo snobbano significa cancellare la questione dal dibattito pubblico, visto che è inverosimile che dopo la bocciatura referendaria si possa riprendere il tema in Parlamento. Ancor più contraddittoriamente stridente è la prova di forza sul Jobs Act. Se non passa, vorrebbe forse dire che gli italiani si disinteressano del tema oppure che considerano quelle norme condivisibili? La Cgil e il Pd verrebbero sconfessati e Matteo Renzi riabilitato?
La verità è che in un sistema che resta parlamentare lo strumento referendario andrebbe usato con cautela e che cercare spallate politiche chiamando a raccolta i propri aficionados diventa un abbaglio controproducente. Così si finisce per svilirlo: un danno per la democrazia.
di Carlo Fusi
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche