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Refermorto, i referendum dell’8 e 9 giugno

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Nulla che non sia stato previsto, tutto scontato. Questi referendum dell’8 e 9 giugno sono nati morti, concepiti per morire

Referendum

Refermorto, i referendum dell’8 e 9 giugno

Nulla che non sia stato previsto, tutto scontato. Questi referendum dell’8 e 9 giugno sono nati morti, concepiti per morire

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Refermorto, i referendum dell’8 e 9 giugno

Nulla che non sia stato previsto, tutto scontato. Questi referendum dell’8 e 9 giugno sono nati morti, concepiti per morire

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Nulla che non sia stato previsto, tutto scontato. Questi referendum sono nati morti, concepiti per morire. Purtroppo hanno ammazzato l’istituto del referendum. Avvertimmo che la mancanza del quorum sarebbe stato l’obiettivo generale, anche di quanti li avevano convocati. Fermarsi al 30% (con una buona quota di No, fra i quali i miei) è la conseguenza di quell’evidenza. Che nuoce a tutti quelli che hanno generato e cercato quel risultato. Nell’uccisione del referendum non ci sono innocenti. Capire aiuterà ad andare oltre, evitando che le urne di oggi siano la sepoltura perenne.

Promotori e sostenitori dei referendum hanno giocato una partita propagandistica priva di contenuti ed evocatrice di linee illusorie. Hanno giocato per la sconfitta, cercando in quella le ragioni per potersi riassicurare uno spazio nella vita politica. Quel che hanno trovato è la certificazione di un’inconsistenza che prospetta loro il galleggiamento nel nulla. Non hanno neanche provato a entrare nel merito dei quesiti referendari, perché l’obiettivo era una chiamata a opporsi che è stata disertata anche perché impostata come opposizione a sé stessi. Un orizzonte miserrimo, di cui portano per intero la responsabilità. Naturalmente a cominciare dai più grossi, ovvero il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle.

Gli avversari del referendum hanno cercato la vittoria facile, conquistando una sconfitta da cui sarà difficile riprendersi. Chiamare l’astensione non è illegittimo, ma è nocivo perché chiamare vittoria il non voto attribuisce alla diserzione un significato politico che si ritorcerà contro gli stessi che l’hanno cavalcata. È stato un espediente per evitare di dovere dire qualche cosa nel merito di leggi che ieri hanno avversato e che ora hanno difeso puntando a che l’astensionismo coprisse la loro incoerenza. Ma questo modo di procedere allarga la frattura fra il diritto al voto e il dovere della rappresentanza, toglie legittimità sostanziale alla loro stessa legittimità formale.

I cinque referendum ultimi chiamano anche un’altra colpa: la comprensione dei quesiti era impossibile. Tocca alla Corte di cassazione accertare la legittimità della richiesta di referendum, quindi le firme raccolte, e tocca alla Corte costituzionale verificare la legittimità e comprensibilità dei quesiti. Con la sentenza numero 16 del 1978 la Corte costituzionale stabilì che i quesiti dovessero consistere in «termini chiari e semplici, con riferimento a problemi affini e ben individuati». Con la sentenza numero 36 del 1997 stabilì che creare normative nuove semplicemente manipolando per abrogazione quelle vigenti è «contrario alla logica dell’istituto, giacché si adotterebbe non una proposta referendaria puramente ablativa, bensì innovativa e sostitutiva di norme».

A queste si uniscono numerose altre sentenze di eguale significato, solo che le schede che ci siamo trovati in mano erano l’opposto, come erano l’opposto anche le esemplificazioni truffaldine: come si fa a estendere una responsabilità per gli incidenti sul lavoro o a ridurre della metà i termini per la cittadinanza? Facendo un’operazione di tagli selettivi della norma, d’impossibile comprensione alla lettura del quesito. La Corte avrebbe dovuto bloccare questo scempio. Gli elettori ne hanno fiutato l’inganno. Il risultato è che il raggiro nella sostanza ha ucciso lo strumento.

Ora non si tratta di rendere più difficile la convocazione dei referendum, ma di tornare alla severità relativa alla loro comprensione e ammissibilità. Non servono norme nuove, ma una rinnovata serietà. In quanto alle firme: quando la Costituzione entrò in vigore, nel 1948, gli elettori erano poco più di 29 milioni (e andavano a votare quasi tutti), ora sono più di 47 milioni (e disertano in massa). Le 500mila firme richieste dall’articolo 75 della Costituzione siano tradotte in percentuale, tornando alla misura di allora (1,8% circa) in rapporto agli elettori.

Chi si dice vittorioso del risultato di ieri è un baro o un incosciente. Ma l’una ipotesi non esclude l’altra.

di Davide Giacalone

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