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Riformare la scuola si può

Riformare la scuola è possibile, ma sia graduale: evitano l’illusione della grande e unica riforma che dice di fare tutto e non fa niente.
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Riformare la scuola si può

Riformare la scuola è possibile, ma sia graduale: evitano l’illusione della grande e unica riforma che dice di fare tutto e non fa niente.
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Riformare la scuola si può

Riformare la scuola è possibile, ma sia graduale: evitano l’illusione della grande e unica riforma che dice di fare tutto e non fa niente.
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Riformare la scuola è possibile, ma sia graduale: evitano l’illusione della grande e unica riforma che dice di fare tutto e non fa niente.

Il futuro ministro della scuola, uomo o donna che sia, ci perdonerà se gli somministriamo una nostra “predica inutile”. In compenso promettiamo di essere concreti e di proporre una riforma possibile del sistema dell’istruzione, da attuarsi in tre anni per andare a regime il quarto anno ed essere organicamente integrata con l’università.

Primo anno scolastico: 2022/2023. Il primo anno il ministro non deve toccare nulla e dare alla scuola ciò di cui ha ora bisogno: essere lasciata un po’ in pace e contare su poche ma chiare certezze. Il ministro può impiegare quest’anno per fare due cose necessarie: stabilire da subito (dunque non a febbraio) le regole d’ingaggio dell’esame di Stato di giugno-luglio e poi studiare. Sì, proprio così: studiare, perché il ministro – i precedenti sono eloquenti – sarà un pesce fuor d’acqua e per non uscirsene con le trovate delle merendine e dei banchi a rotelle è bene che studi.

Secondo anno scolastico: 2023/2024. Ora il ministro, dopo aver studiato, potrà fare un’operazione di disboscamento: via i dipartimenti, via le programmazioni, via le griglie di valutazione, via i crediti, via le riunioni insensate, via il successo formativo (cioè l’obbligo di promuovere), via l’alternanza scuola-lavoro dai licei, via l’educazione civica come materia di tutti e di nessuno che non è né carne né pesce e che ha l’unico scopo di indottrinare senza pensare.

Terzo anno scolastico: 2024/2025. Il ministro – che ha studiato e disboscato e capito che riformare la scuola vuol dire sempre e per forza di cose metter mano agli esami – potrà procedere a togliere l’esame di licenza media, introdurre un esame di passaggio dal biennio al triennio delle superiori, togliere il finale esame di Stato (un altro inutilissimo e dannosissimo esame di licenza) e sostituirlo all’università non con i test d’ingresso ma con un vero e proprio esame di accesso per verificare se il candidato sia in grado o meno di frequentare quei determinati corsi di studi accademici.

Con il quarto anno scolastico 2025/2026 la riforma possibile e non velleitaria è praticamente a regime e pronta per dispiegare i suoi effetti. Quali sono? Primo: la scuola ritorna scuola. Secondo: gli insegnanti non si dedicano alla burocrazia ma allo studio. Terzo: l’alternanza scuola-lavoro diventa una cosa seria negli istituti tecnici sui quali si possono indirizzare risorse. Quarto: l’educazione civica è affidata a un unico docente che insegna Cultura costituzionale. Quinto: il dirigente scolastico non è più un manager che passa carte ed email ministeriali ma ritorna a essere il preside che cura didattica e insegnamento. Sesto: le scuole non sono più diplomifici ma istituti di cultura ed educazione in cui si conosce sé stessi, i propri pregi e i propri difetti e s’impara a valutare un mondo reale in cui si vale per ciò che si è e si sa, non per ciò che si ha (il pezzo di carta e i soldi, entrambi svalutati dalla comune inflazione).

Ogni buona riforma ha i suoi punti deboli. Conoscerli è un dovere specifico del ministro che, se ha studiato, saprà già dove mettere le mani per migliorare nel tempo scuola e università: stato professionale degli insegnanti, loro reclutamento, accesso agli uffici pubblici, esame di Stato extra-scolastico, professioni e loro ordini. Ma il vantaggio di una riforma possibile e graduale sta proprio nella sua concretezza e nella sua gradualità che, conservando una visione complessiva, evitano però l’illusione della grande e unica riforma che dice di fare tutto e non fa niente.

di Giancristiano Desiderio

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