Robert Fico e il fronte europeista e atlantista
Non conviene sminuire quanto accaduto in Slovacchia. La vittoria dell’ultra populista filorusso Robert Fico apre una breccia nella solidità del fronte europeista e atlantista
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Robert Fico e il fronte europeista e atlantista
Non conviene sminuire quanto accaduto in Slovacchia. La vittoria dell’ultra populista filorusso Robert Fico apre una breccia nella solidità del fronte europeista e atlantista
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Non conviene sminuire quanto accaduto in Slovacchia. La vittoria dell’ultra populista filorusso Robert Fico apre una breccia nella solidità del fronte europeista e atlantista
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Non conviene sminuire quanto accaduto in Slovacchia. La vittoria dell’ultra populista filorusso Robert Fico apre una breccia nella solidità del fronte europeista e atlantista
Non conviene sminuire quanto accaduto in Slovacchia. La vittoria dell’ultra populista filorusso Robert Fico non avrà quasi alcun impatto di carattere militare in Ucraina, ma apre una breccia – almeno teorica – nella solidità del fronte europeista e atlantista. Staremo a vedere quanto profonda ma è troppo facile immaginare la soddisfazione provata al Cremlino per l’affermazione, per quanto risicata e tutt’altro che decisiva in termini di formazione del governo, di un premier che non fa nulla per nascondere le simpatie putiniane.
Una brutta faccenda e una sfida – l’ennesima – per la classe dirigente dell’Ue, chiamata a tenere la barra dritta in un passaggio storico di straordinaria delicatezza. Perché il tempo logora Vladimir Putin e il suo esercito impantanato sulla difensiva in Ucraina, ma stanca inesorabilmente le pubbliche opinioni dei 27 e degli stessi Stati Uniti d’America. I sondaggi li conosciamo: a doverli prendere per buoni e senza ulteriori riflessioni, la possibilità di sostenere la causa ucraina si ridurrebbe drasticamente nel giro di mesi. Chi governa ha (o avrebbe) l’obbligo dell’orizzonte a lunga scadenza, di mettere davanti alla convenienza tattica del momento la necessità strategica di non consegnare l’Europa a un futuro di divisioni sempre più accentuate e di penetrazione della propaganda russa. Primo ottimo passo sarebbe espellere Robert Fico dal Partito socialista europeo, perché nessuna delle sue posizioni appare conciliabile con quelle del Pse (e pure del Ppe, se è per questo).
L’Italia ha un’occasione, figlia delle circostanze e della forza delle scelte operate negli ultimi 18 mesi. Può costituire uno dei cardini della tenuta atlantista: resta uno dei Paesi più fermi nel sostegno all’Ucraina e il cambio di maggioranza e governo seguente alle elezioni politiche del settembre 2022 non ha modificato di una virgola la forza del sostegno politico e materiale a Kiev. Per dirla fino in fondo, un governo inizialmente guardato con ‘attenzione’ – se non con sospetto – ma che non ha mai tentennato. Quel governo si candida a un ruolo centrale nella ricostruzione che dovrà seguire allo sfacelo della guerra portata dalla Russia in Ucraina e per farlo non può deragliare. I maliziosi sostengono che proprio la necessità della presidente del Consiglio Giorgia Meloni di fugare dubbi e sospetti l’abbia spinta a ricalcare fedelmente le orme di un atlantista di ferro come Mario Draghi. Quali che siano le motivazioni – fosse stata soltanto questa, sarebbe risultato ben più difficile reggere al logoramento quotidiano della guerra e degli alleati eufemisticamente meno convinti – la posizione italiana è di grande valore per il Paese e per l’Europa. Possiamo spenderla sul piano internazionale, in vista di mesi in cui l’Unione sarà chiamata ad affrontare temi divisivi come il nuovo Patto di stabilità e le norme sulle migrazioni. Nel farlo dovrà, sopra ogni altra cosa, saper difendere i propri valori e princìpi sul fronte ucraino.
Con tutto il rispetto per le polemiche sui migranti, è sulla guerra e sui rapporti con le dittature che l’Ue giocherà una partita identitaria e il ruolo di Roma è di oggettiva leadership, al fianco di Parigi e Berlino. Eccola l’occasione strategica: restare più che mai ancorati al nucleo fondante dell’Unione, rappresentarne i valori intangibili oltre qualsiasi diversa lettura politica.
La postura atlantista del nostro governo ricade in buona misura sulla presidente del Consiglio e trova piena copertura nella ferma posizione del Quirinale. È senza dubbio un tema di responsabilità istituzionale, ma la scelta conta e fu fatta nel giorno stesso della nascita dell’esecutivo. La pubblica opinione non si sente soltanto a Bratislava e pesa molto anche a Roma, la sfida interna della Lega è palese, tenere la maggioranza in carreggiata non è né scontato né facile ma l’occasione per l’Italia è di quelle grosse. Come sempre, in politica si tratta di scegliere fra le ristrettezze strategiche dell’oggi e il profilo del futuro.
di Fulvio Giuliani
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