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Atlantismo, fra Roma e Parigi

Oggi Roma vale più di Parigi. Ma non è questione di primati o di gare. È una più fondamentale esigenza di equilibrio

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Oggi Roma vale più di Parigi. Ma non è questione di primati o di gare. È una più fondamentale esigenza di equilibrio

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Oggi Roma vale più di Parigi. Ma non è questione di primati o di gare. È una più fondamentale esigenza di equilibrio

I numeri del Parlamento europeo sono importanti. Lo sono sia se si considera l’autosufficienza della maggioranza dei popolari, dei socialisti e dei liberali sia se si ritiene opportuno l’allargamento della maggioranza con i conservatori. La differenza fra l’autosufficienza e l’allargamento non è però fatta dall’aritmetica bensì dalla politica. In questo caso ‘allargare’ potrebbe infatti significare sia sommare sia sottrarre e, comunque, il calcolo non sarebbe quantitativo ma qualitativo. Inoltre, la possibilità di allargare la maggioranza che fin qui ha sostenuto Ursula von der Leyen è già nei fatti perché la politica del governo italiano, presieduto da Giorgia Meloni, alla prova dei suddetti fatti si è dimostrata europea ed europeista.

La ‘differenza specifica’, direbbe il greco Aristotele, è data dalla politica estera nella quale il governo Meloni ha assunto, da subito, una chiara e ferma posizione atlantica a difesa dell’Ucraina e della libertà della porta dell’Europa a Est. Qui, dunque, non è questione né di numeri e percentuali né di posizionamenti partitici ma di una politica insieme nazionale, europea e atlantica in cui il governo italiano di centrodestra s’identifica con l’Europa e l’Alleanza Atlantica. Stando così le cose – e stanno effettivamente così – non ha alcun senso immaginare il rapporto fra il Parlamento europeo e la Commissione europea come se fosse il duplicato del rapporto fra il Parlamento italiano e il governo che deve avere la fiducia dell’Assemblea. Nel caso europeo la politica – comprensiva, si capisce, di numeri necessari ma non sufficienti – passa attraverso le relazioni fra gli Stati e i governi di cui si compone il Consiglio europeo. Non si tratta di definire i rapporti fra i ruoli delle istituzioni europee ma di considerare che l’Unione europea si fonda, soprattutto dopo l’uscita dell’Inghilterra, sulla coppia Francia e Germania con la basilare partecipazione dell’Italia. Sono quindi i rapporti fra questi Stati e i loro governi che possono o meno allargare la maggioranza del Parlamento europeo mentre non è l’allargamento della maggioranza parlamentare a modificare le relazioni fra gli Stati e i governi. Questo fino a oggi.

Le elezioni che ci saranno in Francia, e che ci diranno a breve se Marine Le Pen vincerà o perderà e come vincerà e come perderà, cambiano un poco e più di un poco le cose perché la destra francese è chiaramente e dichiaratamente nazionalista, anti-europea e non avversaria di Putin. Ma – ecco il punto – la destra italiana che oggi è al governo è su posizioni opposte perché favorevoli all’Europa e contrarie alla Russia di Putin, che ha come obiettivi quelli classici e storici di Mosca: la divisione europea e un piede nel Mediterraneo. Il responso elettorale di Parigi potrà avere contraccolpi nel Parlamento europeo, sia che i nazionalisti vincano sia che perdano ma – di nuovo: ecco il punto – la politica europea non cambierà nella sostanza perché la presenza dell’atlantico governo italiano la rafforza e non la indebolisce.

Oggi Roma vale più di Parigi. Ma non è questione di primati o di gare. È una più fondamentale esigenza di equilibrio in cui l’Europa va pensata e alimentata come la condizione in cui gli Stati nazionali, le democrazie e la libertà esistono, mentre la non-Europa (non ho altro nome) equivale al suicidio degli stessi Stati nazionali. Per rendersene conto basta voltarsi e guardare la storia del Novecento in cui le due guerre mondiali, quasi la riproposizione della guerra dei Trent’anni, nascono dalla fine del concerto europeo.

di Giancristiano Desiderio

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