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Sbancati, la bancarotta scolastica

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Sbancati, la bancarotta scolastica: i fondi che non si sanno spendere e che si devono comunque spendere vengono indirizzati all’acquisto di terminali che non serviranno alla didattica

Sbancati, la bancarotta scolastica

Sbancati, la bancarotta scolastica: i fondi che non si sanno spendere e che si devono comunque spendere vengono indirizzati all’acquisto di terminali che non serviranno alla didattica

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Sbancati, la bancarotta scolastica

Sbancati, la bancarotta scolastica: i fondi che non si sanno spendere e che si devono comunque spendere vengono indirizzati all’acquisto di terminali che non serviranno alla didattica

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La bancarotta scolastica – i due anni di distanza formativa fra gli studenti del Nord e quelli del Sud, che sanciscono anche il fallimento costituzionale – farà da vetrina alla dilapidazione dell’occasione rappresentata dai fondi europei e dal Pnrr. Il Ministero che, con demerito, segue l’Istruzione ha iniziato l’anno scolastico imponendo l’uso del diario scritto a mano e lo conclude annunciando l’invio di tablet e computer per tutti. Questa resa incondizionata all’ignoranza falsamente digitalizzata ha una sua motivazione: i fondi che non si sanno spendere e che si devono comunque spendere vengono indirizzati all’acquisto di terminali che non serviranno alla didattica e forse non serviranno proprio, posto che tutti gli studenti hanno già terminali digitali.

Se solo qualcuno si occupasse di scuola come formazione e non soltanto come sindacalizzazione di chi ci lavora, se solo la realtà avesse un peso nelle propagande politiche, ci si accorgerebbe del paradosso: peggiore è la formazione e maggiori sono i voti, compresi quelli di maturità. Il compromesso dell’ignoranza è trasparente: voi non ci chiedete una scuola seria e noi non vi giudicheremo seriamente.

E se solo si osservasse con attenzione ci si accorgerebbe che la scuola mostra la formula perfetta del fallimento Pnrr: correre alla spesa evitando di procedere a qualsiasi cambiamento e riforma. Non esisterà mai la meritocrazia fra i banchi se non la si fa valere fra le cattedre. E farla valere significa disegnare carriere professionali che premino – anche con la retribuzione – l’impegno e la capacità. Che si misurano misurando, nel tempo, la distanza fra la condizione culturale e cognitiva degli studenti in ingresso e poi in uscita: scuola per scuola, classe per classe. Dire che non si può misurare è, al tempo stesso, dimostrazione d’ignoranza e convinzione che vada bene e crei meno trambusti sindacali il sistema che c’è: carriera e stipendi per anzianità. Ovvero l’opposto del merito. In quel sistema puoi anche metterci una valanga di tablet e puoi fare aule d’informatica avanzata, ma sarà inutile senza personale preparato e c’è soltanto da sperare che siano i ragazzi a far vedere come si usano.

Dalle scuole elementari fino alla laurea e poi dopo fino alle abilitazioni professionali, la scusa collettiva è pronta: «Non possiamo mica bocciarli tutti». Il che, a partire dai maestri elementari fino ai professori ordinari dell’università, significa: «Non potete mica cacciarci tutti». E allora avanti così, consegnandoci complici all’ignoranza e lasciando che a contrastarla siano le pattuglie di volontari per vocazione e di studenti per ispirazione. È così che abbiamo fatto il miracolo: la matematica parlava italiano e ora siamo sovranamente somari, manco più capaci di parlare un italiano decente.

Ed è anche inutile tirare sempre in ballo il 1968 (quando in Italia non successe niente) e l’omologazione egualitaria di sinistra, perché in quel Ministero è passata fior di destra e a destra sta. Il dramma è che l’egualitarismo è paciosamente e unitariamente autoassolutorio, creando un antenato di rango all’ignoranza bastarda che dilaga. Quanti secoli devono passare per contrastare quella minchioneria? Allora fu ideologica la bestialità del voto collettivo, adesso è solo sbracante la rassegnazione a non bocciare neanche gli analfabeti. Infine c’è l’esilarante e perverso effetto fossile del ’68, di cui non ci si avvede: la destra al governo arruola chi allora era de sinistra per avere un piano culturale e farselo mettere per iscritto. Il che, omessa ogni altra spassosa considerazione, risulta ozioso a fronte del fatto che a insegnarla dovrebbe essere chi non è premiato se ci riesce e non è sanzionato se ne è incapace.

Ora, vista la temperatura, preparatevi all’alato ridibattito sulle scuole aperte d’estate. Che resteranno chiuse, come sempre. Ma non importa niente a nessuno ed è una gran fregatura per i poveri di soldi e ricchi d’intelligenza. L’opposto del sistema in cui vengono tenuti a (non) studiare, che li sbanca al banco.

Di Davide Giacalone

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