Scalanti
Se oggi si legge la versione penale di talune operazioni bancarie è perché ieri ci si è rifiutati di leggerne i punti oscuri, che erano già emersi in piena luce
Scalanti
Se oggi si legge la versione penale di talune operazioni bancarie è perché ieri ci si è rifiutati di leggerne i punti oscuri, che erano già emersi in piena luce
Scalanti
Se oggi si legge la versione penale di talune operazioni bancarie è perché ieri ci si è rifiutati di leggerne i punti oscuri, che erano già emersi in piena luce
Se oggi si legge la versione penale di talune operazioni bancarie è perché ieri ci si è rifiutati di leggerne i punti oscuri, che erano già emersi in piena luce. Su queste pagine abbiamo potuto scriverne non con preveggenza, ma solo rifiutandoci di chiudere gli occhi davanti all’evidenza.
Qui non troverete trascrizioni di telefonate (ma quanto parlano e in che termini…) o passaggi copiati dalle carte della Procura. Non le troverete perché è incivile che quelle carte diventino pubbliche, per giunta a distanza di anni dall’eventuale processo. Non le troverete perché la presunzione d’innocenza è un principio che non consente eccezioni. E non le troverete perché la sostanza potete leggerla nei nostri articoli dei mesi addietro. Questo è il problema: non avere fatto oggetto di una discussione politica quel che ora diventa oggetto di un’inchiesta penale. Posto che, naturalmente, il giudizio politico prescinde dall’esistenza o meno di uno o più reati, mentre il giudizio penale prescinde (dovrebbe) dalla valutazione politica dei fatti.
Tante faccende italiane finiscono sul tavolaccio autoptico sol perché non si volle ragionarne quando più di un elemento avrebbe consentito e imposto di farlo prevenendo la degenerazione. Inutile prendersela con le “inchieste a orologeria”, perché il problema è il ritardo degli orologi politici. Poi l’autopsia la fanno soltanto se c’è il morto e comunque è utile a cercare l’assassino, ma non lo fa tornare in vita.
Tre erano gli elementi che ci sembrarono degni di attenzione e che vedevano tutti: a. le quote del Monte dei Paschi di Siena (banca che era stata nazionalizzata perché fallita e di cui il governo resta il principale azionista) erano state più assegnate che vendute, non avendo il Ministero dell’Economia scelto la retta via dell’asta aperta, imboccando la via torta della procedura diversa; b. la scalata a Mediobanca (in sé legittima) era stata lanciata dal Monte appena uscito dalla bancarotta e accompagnata dall’azione degli stessi soggetti che se ne erano viste assegnate le quote (il fatto che agissero in concerto non è proibito, ma avrebbe comportato diverse modalità e vincoli; invece si sostenne che no, non vi era alcun concerto); c. la preda ultima dell’operazione era Generali, dove non solo ritrovavi come azionisti gli stessi protagonisti della scalata, ma questi s’adoperavano a impedire operazioni che la dirigenza di Generali considerava utili.
A questo si aggiunga un’altra cosa che raccontammo nel mentre succedeva: all’acquisto di quote in Mps era interessata Unicredit, cui nel frattempo veniva impedito – dal governo – di scalare il Banco Popolare di Milano, a una cui struttura era stata assegnata la collocazione delle partecipazioni Mps.
Non lo ha visto soltanto chi s’è rifiutato di vederlo. Si poteva vederlo e ritenerlo anche giusto e bello, ma l’evidenza dei fatti richiedeva che fosse tale anche al mercato, il quale è regolato e controllato da Autorità indipendenti che si sono dimostrate indipendenti anche dalla realtà. Da qui il corteo ha imboccato il viale che porta in Procura. Sul che non aggiungo altro, perché lì la partita è totalmente diversa e s’è chiarito prima cosa ne pensiamo.
Ma c’è da aggiungere che l’evidenza era tale anche per tanta parte del mondo politico e del giornalismo, eppure le voci che l’indicarono furono poche. Non credo affatto che occorra coraggio, perché non ho corso alcun rischio scrivendo le cose che qui si sono potute leggere. Forse si tratta di vocazione: chi osserva la vita civile, politica ed economica può provare a cavalcare l’onda oppure pensare che ogni onda abbia nel suo destino l’infrangersi e che possa essere utile vederne le debolezze o i pericoli prima che tutto finisca in schiuma.
Magari concedendosi il lusso di non farlo per tifare a favore di chi vorrebbe essere su quell’onda e invece se ne trova sotto. Un lusso che nasce dalla convinzione che navighiamo lo stesso mare e non è un bene né che diventi una marana né che ci faccia finire inversamente scalanti in credibilità collettiva.
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