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Scatole rotte e tonno scappato

Con l’ordinanza del Tribunale di Napoli si decreta la necessità di avere un Direttorio alla guida del Movimento 5 Stelle ma, più di tutto, si decreta la fine di un’ideale. Quello della democrazia partecipativa.
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Scatole rotte e tonno scappato

Con l’ordinanza del Tribunale di Napoli si decreta la necessità di avere un Direttorio alla guida del Movimento 5 Stelle ma, più di tutto, si decreta la fine di un’ideale. Quello della democrazia partecipativa.
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Scatole rotte e tonno scappato

Con l’ordinanza del Tribunale di Napoli si decreta la necessità di avere un Direttorio alla guida del Movimento 5 Stelle ma, più di tutto, si decreta la fine di un’ideale. Quello della democrazia partecipativa.
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Con l’ordinanza del Tribunale di Napoli si decreta la necessità di avere un Direttorio alla guida del Movimento 5 Stelle ma, più di tutto, si decreta la fine di un’ideale. Quello della democrazia partecipativa.
Alla fine l’hanno aperta, quella scatoletta di tonno. Purtroppo però non era il Parlamento ma lo stesso Movimento 5 Stelle: oramai nient’altro che una scatoletta di latta al cui interno sono rimasti attaccati brandelli di ideali e qualche goccia d’olio. Il grande tragico greco Euripide non avrebbe saputo immaginare di meglio che una simile punizione per la hybris manifestata da quei ‘comuni cittadini’ che si illudevano di farsi re di sé stessi e di scalzare una tracotante aristocrazia impunita, immutata e immutabile. Nella vicenda che coinvolge Conte, Grillo, Di Maio e tutti gli altri, attivisti o eletti che siano, l’eterogenesi dei fini ha avuto il suo più esemplare trionfo. Il risultato delle azioni intraprese non è affatto quello che ci si proponeva all’origine, «ma piuttosto la risultante della combinazione, del rapporto e del contrasto delle volontà e delle condizioni oggettive» (Wilhelm Wundt). Con l’ordinanza del Tribunale di Napoli apparentemente si ritorna al punto di partenza degli ‘Stati Generali’ del 2021, che faticosamente decretarono la necessità di avere un Direttorio alla guida del Movimento proprio per non avere un uomo solo al comando come un partito qualsiasi. In realtà si decreta la fine definitiva di un ideale, quello della democrazia partecipativa. Impensabile che un Conte, ingolosito dalle sfrenate ambizioni casaliniane, ritorni in buon ordine a fare ‘uno dei cinque’ che decidono. Impensabile che un Di Maio, ormai felicemente digerito dal mainstream del potere, decida di tornare a fare l’attivista nei territori (nel suo caso, l’Avellinese) e a fare da guida per altri eletti dopo di lui e al posto suo. Pittaco, filosofo a Mitilene nel quinto secolo avanti Cristo, aveva già capito tutto: «Se vuoi conoscere la vera natura di un uomo, devi dargli un grande potere». Ormai abbiamo capito chi siano davvero tanto Di Maio quanto Conte. E mettiamoci anche Grillo, che dopo la morte di Gianroberto Casaleggio non ne ha più azzeccata una. Lui stesso annuncia cambiamenti ‘rivoluzionari’ ma solo ora si decide a mettere nero su bianco una cosa ovvia un anno fa ma che con la crescita esponenziale delle velleità di Conte e Di Maio è diventata un confuso ricordo: «Rotazione o limiti alla durata delle cariche, anche per favorire una visione della politica come vocazione e non come professione». Ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate, se a fare le spese di questa totale insipienza politica non fossero quei creduloni degli attivisti e in generale i cittadini italiani. Non ci libereremo mai da questa classe politica? «Ricordatevi chi c’era prima di noi, ricordate cosa abbiamo fatto», è il tormentone degli attuali ‘portavoce’ in Parlamento. Gli italiani se lo ricorderanno senz’altro. Per molti il Movimento è stata una speranza di cambiamento della politica, schiacciata poi sotto il proprio naso. Come una scatoletta di tonno, vuota.   di Ivo Mej

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