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Nella scuola nessuna svolta

A scuola si va per imparare, trovandoci persone che ci vanno per insegnare. Quel che si deve misurare è il risultato, la qualità dell’apprendimento

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Nella scuola nessuna svolta

A scuola si va per imparare, trovandoci persone che ci vanno per insegnare. Quel che si deve misurare è il risultato, la qualità dell’apprendimento

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Nella scuola nessuna svolta

A scuola si va per imparare, trovandoci persone che ci vanno per insegnare. Quel che si deve misurare è il risultato, la qualità dell’apprendimento

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A scuola si va per imparare, trovandoci persone che ci vanno per insegnare. Quel che si deve misurare è il risultato, la qualità dell’apprendimento

L’opposizione intravvede una svolta autoritaria nella nuova legge sulla disciplina scolastica. Purtroppo non vedo neanche la svolta. Si sta solo percorrendo, con alacre passo di carica, il terreno dell’inutilità declamatoria.

Il “merito” è stato iscritto nella carta intestata del Ministero che si occupa dell’istruzione ma, a forza di linee guida e segnalazioni di scenografica severità, ci si è persi il merito della questione: a scuola si va per imparare, trovandoci persone che ci vanno per insegnare. Quel che si deve misurare è il risultato, la qualità dell’apprendimento. Prima di misurare il risultato si deve stabilire se qualche cosa merita d’essere cambiato e, in quanto a insegnare e imparare, di cambiato non c’è niente. Il vuoto, frammisto a una impettita attenzione ai grandi princìpi statuali e alla buona condotta, induce a supporre che si provi a fortificare l’autorità non potendo contare sull’autorevolezza. E questo non è autoritarismo, ma la sua parodia.

Un tempo (il mio) il 7 in condotta era bastevole a precludere la felice conclusione dell’anno: il minimo accettabile era 8. C’era il normale tran tran degli adolescenti, fra marachelle, intrallazzi con i compiti e cose che effettivamente erano nulla a confronto della droga che cominciava a infilarsi fra i corridoi. Il 7 però non lo prendeva nessuno. Ci bocciavano e rimandavano per le materie, ma non si penalizzava nessuno per la condotta in sé. Ora la svolta della severità: rimandati se si prende 6 e bocciati se si prende 5. Che, a ben vedere, in quanto a severità andiamo a scemare, giacché il 7 è già occasione di tripudio. Epperò il voto in condotta farà media. E qui siamo alla generosità, perché visto che tutti prenderanno più di 6 ne deriva che i somarelli festeggeranno una non ponderata media aritmetica.

Però oh, con le aggressioni scatterà anche l’ammenda pecuniaria, costringendo (i genitori) a sborsare dai 500 ai 10mila euro. Già, ma le aggressioni sono un reato, mica una discoleria, sicché non decide il docente ma il giudice. Sempre che la sentenza arrivi prima della fine dell’intero ciclo scolastico. E, comunque, le aggressioni erano reato anche prima. Lo erano anche prima dell’Unità d’Italia.

Dice la legge che, per punizione, non si sarà più sospesi dagli studi ma si andrà a fare volontariato in strutture convenzionate. Forse sfugge il significato: la sospensione era considerata la più grave delle punizioni perché toglieva il diritto di partecipare alle lezioni: toglieva la scuola, ovvero un bene; ora non si minaccia la non scuola, il che tradisce l’idea che la scuola ha maturato di sé. Quali sono poi le strutture convenzionate? Ci sono ovunque o ci sarà il classismo differenziato? Quelli sono minorenni, non li puoi mandare – come taluni meriterebbero – a raccogliere le cacche dei cani, perché se scivolano e danno una capocciata è la testa di chi prese la decisione a cadere.

Tenetevi forte: nella scuola primaria (che si chiamavano elementari, ma parve elementarmente sminuente) si torna ai giudizi in prosa, come se “insufficiente” sia meno traumatizzante di 5 e “sufficiente” meno risicato di 6. Già cresciutelli, alle medie e alle superiori si affronta il giudizio numerico, ovvero una modalità nata assieme alle pagelle, un tempo compitate in bella grafia (che non si usa più) e conservate dalle mamme, orgogliose dell’angelica bontà dei pargoli non meno che della loro vivace petulanza.

Il tutto in una scuola in cui più di 160mila insegnanti arriveranno fra settimane o mesi, dovendo chiedere ai discenti: «Dove siete arrivati?». E lì sì che l’autorevolezza lievita possente nei cieli didattici. Senza contare l’enorme numero di cattedratici che ama definirsi “precario” e tralasciando i presidi che non ci sono perché il concorso si conchiuse dopo che la scuola si dischiuse agli studenti. Pesci fuor d’acqua che non guadagneranno autorevolezza nel fingersi autorità.

Non so come si faccia a vederci un disegno autoritario. Ma non so neanche come si faccia a vederci un disegno.

di Davide Giacalone

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