Scuola italiana e AI
Il rapporto della scuola italiana con la tecnologia è schizofrenico. Nelle superiori di quindici classi di quattro regioni ci sarà la sperimentazione dell’AI
Scuola italiana e AI
Il rapporto della scuola italiana con la tecnologia è schizofrenico. Nelle superiori di quindici classi di quattro regioni ci sarà la sperimentazione dell’AI
Scuola italiana e AI
Il rapporto della scuola italiana con la tecnologia è schizofrenico. Nelle superiori di quindici classi di quattro regioni ci sarà la sperimentazione dell’AI
Il rapporto della scuola italiana con la tecnologia è schizofrenico. Nelle superiori di quindici classi di quattro regioni ci sarà la sperimentazione dell’AI
Il rapporto della scuola italiana con la tecnologia è schizofrenico. Il ministro Valditara con una circolare – la cara vecchia circolare che nessuna diavoleria tecnologica mai sostituirà nella scuola napoleonica italiana – ha vietato l’uso dello smartphone fra i banchi delle elementari e delle medie ma, a partire da quest’anno scolastico che è al via, nelle superiori di quindici classi di quattro regioni (Lombardia, Toscana, Lazio, Calabria) ci sarà la sperimentazione dell’intelligenza artificiale (AI). Alle superiori si usa ciò che alle inferiori è vietato: è un po’ curioso ma è anche abbastanza ovvio.
Nella scuola dell’obbligo si privilegiano i metodi tradizionali d’insegnamento, mentre negli istituti superiori si passa alla innovazione che riguarda non soltanto gli studenti ma anche – e soprattutto – i docenti. E proprio qui è il punto delicato che vale la pena evidenziare, magari con la tradizionale matita rossa e blu (chissà se esiste più): gli studenti ne sanno più degli insegnanti. Infatti, i primi con la tecnologia ci sono nati e cresciuti – generazione digitale – mentre i secondi, che nella maggior parte dei casi appartengono alla generazione Gutenberg, si sono dovuti adattare facendo di necessità virtù. Il paradosso che ne vien fuori, già presente da molti anni nella scuola, è che il rapporto fra studenti e docenti si è capovolto: per quanto riguarda la tecnologia gli studenti insegnano e i docenti imparano.
Se ci trovassimo in una scuola-laboratorio non ci sarebbe nulla di male, perché il rapporto fra maestro e discepolo è sempre dialettico e il maestro insegna imparando e il discepolo impara insegnando ma – come scritto al principio dell’articolo – ci si trova in una scuola napoleonica cioè governata per via ministeriale, nella quale vige per legge l’illusione che la maieutica possa essere concepita dalle linee guida e imposta dal Ministero scendendo per li rami dell’amministrazione scolastica nazionale e regionale. Il risultato è molto simile alla famosissima – per chi? – tela di Penelope fatta di giorno e disfatta di notte: cambiano i governi e cambiano i ministri, cambiano i ministri e cambiano le linee guida ma non muta la sperimentazione che nel tempo diventa affermazione, con il risultato che la scuola italiana da ben mezzo secolo è diventata una scuola napoleonica stabilmente sperimentale. Una definizione che è un nido di vespe ossia una nidiata di contraddizioni che, con rispetto parlando, è un manicomio e che ognuno può chiamare come gli aggrada, un po’ come facevano i monaci nei conventi che il venerdì non potevano mangiare carne e allora dicevano «Ego te baptizo piscem».
La demonizzazione della tecnologia non serve a niente. Però anche il continuo aggiornamento della scuola – minuto per minuto, come se fosse un computer – non serve a niente. Soprattutto evidenzia il malessere profondo che, lo si voglia o no, regna nella scuola italiana che si è letteralmente smarrita nelle linee guida, nelle circolari, nei Pcto, nei Ptof, nei successi formativi, nei giudizi sospesi, nelle inesistenti competenze, nelle neglette conoscenze e nel decisivo oblio del rapporto fra scuola e Stato con cui si nutre nelle povere anime belle l’illusione della loro insensata e pericolosa geometrica sovrapposizione. Alla fine, vien quasi da dire: povera intelligenza artificiale, non sa a cosa sta andando incontro. Speriamo si prepari bene, perché per non perdere la testa, naturale o artificiale che sia, nel labirinto scolastico serve una sola cosa: preparazione.
di Giancristiano Desiderio
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