Secolarizzati, poca fede ma politica. La morte di Papa Francesco e i mezzi di informazione
Diciamoci la verità: da quando è arrivata la notizia della morte di Papa Francesco, ascoltare tv e radio oppure leggere i giornali è un esercizio deprimente
Secolarizzati, poca fede ma politica. La morte di Papa Francesco e i mezzi di informazione
Diciamoci la verità: da quando è arrivata la notizia della morte di Papa Francesco, ascoltare tv e radio oppure leggere i giornali è un esercizio deprimente
Secolarizzati, poca fede ma politica. La morte di Papa Francesco e i mezzi di informazione
Diciamoci la verità: da quando è arrivata la notizia della morte di Papa Francesco, ascoltare tv e radio oppure leggere i giornali è un esercizio deprimente
Diciamoci la verità. Da quando è arrivata la notizia della morte di papa Francesco, ascoltare tv e radio oppure leggere i giornali è un esercizio deprimente. Si rincorrono innumerevoli racconti e ricordi del pontefice. E ognuno ha una personale unghia di rimembranza da rivendicare, un particolare ragionamento da esprimere, una definizione del papato appena concluso da avanzare. I giornali in particolare si sono fatti concorrenza a suon di rodomontate dal sapore straniante. E soprattutto, tra lutti nazionali e papesse di destra o sinistra, con risultati avvilenti. Per non parlare del dibattito parlamentare in ricordo di Bergoglio. Da occasione di omaggio è repentinamente trasceso a gara fra chi polemizzava di più con il vero o presunto avversario.
Perché questo? A voler condensare tanto strombazzamento mediatico in un’unica categoria concettuale, si può a ragione sostenere che la secolarizzazione abbia prevalso su tutto e tutti. E il Vaticano stesso non si è sottratto all’operazione. Ma è davvero così che va ricordato Francesco? È davvero questo il suo lascito ed è in questa chiave secolarizzata che va valutato il suo pontificato? Più di un dubbio è lecito. Detto da un laico convinto, a forza di giudicare le azioni del papa con gli occhiali della convenienza politica, con la voglia di arruolarlo in questo o quello schieramento, si rischia di disperdere il patrimonio spirituale. Che pure è il valore più alto della Chiesa cattolica e di chi in terra fa le veci di Cristo essendone il vicario.
Intendiamoci. A nessuno può essere interdetto di giudicare l’opera papale come meglio gli aggrada. E certamente lo stesso Bergoglio non si è sottratto a esprimere considerazioni che con la politica – esterna o interna alla Curia – hanno avuto a che fare, eccome.
Del resto stiamo parlando del primo papa gesuita. E i seguaci di Ignazio di Loyola con la politica e le scelte secolari hanno da sempre avuto un rapporto assai stretto. Non a caso una delle massime del fondatore dell’ordine era «molta sapienza unita a una moderata santità è preferibile a molta santità con poca sapienza». Tuttavia è difficile contestare che l’azione di un pontefice debba avere a che fare innanzi tutto con la dimensione della fede. E che essere il pastore di anime è la priorità del credo religioso più seguito al mondo. Ma, appunto, la secolarizzazione che ormai la fa da padrona ha finito per travolgere tutto e tutti, a partire dai rappresentanti stessi del cattolicesimo.
Così una delle definizioni più geniali di papa Francesco per descrivere i nostri tempi – quella della «guerra mondiale a pezzi» che angoscia le nostre menti e i nostri cuori – per sciagurata nemesi è diventata la modalità ‘a pezzi’. Il metro concettuale per giudicare tre lustri di papato. Per cui ciascuno di Bergoglio enfatizza il pezzo che più gli piace e gli fa comodo. Mettendo tra parentesi il fatto che un papa è soprattutto custode della dottrina, tutela di precetti che vanno presi tutti insieme e non separatamente a seconda degli interessi, delle utilità, dei vantaggi che urgono.
La lezione della spiritualità è andata scolorendosi nei tg e nelle analisi affastellatesi in questi giorni. E chissà se è un buon servizio per chi crede. Come pure già ora siamo sommersi da resoconti e retroscena sul pontefice che verrà, se debba proseguire nel solco di Bergoglio oppure discostarsene, con eminenti prelati che discettano con assoluta naturalezza sulle correnti interne al Conclave quasi che fosse un gioco di società. Forse non sarebbe sbagliato se da chi indossa la porpora cardinalizia arrivasse un semplice messaggio. Lasciamo fare allo Spirito Santo, che infonda nelle menti del Sacro Collegio la giusta sapienza per la scelta del successore di Francesco. In fondo è il suo mestiere e quanto è successo con gli ultimi tre papi conferma che su quel fronte ci sa fare e le sorprese sono pane per i suoi denti.
di Carlo Fusi
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