Skip to main content
Scarica e leggi gratis su app

Senza politica

|

Senza politica. Se continua così, le urne politiche vedranno la presidente del Consiglio nella veste di favorita vincitrice

Senza politica

Senza politica

Senza politica. Se continua così, le urne politiche vedranno la presidente del Consiglio nella veste di favorita vincitrice

|

Senza politica

Senza politica. Se continua così, le urne politiche vedranno la presidente del Consiglio nella veste di favorita vincitrice

|
AUTORE: Carlo Fusi

Prima il quadro generale. Le Marche erano l’unica Regione contendibile e ha vinto il destracentro. In Calabria, che contendibile non era, ha vinto il centrodestra: la musica non cambia. Tra un paio di settimane si voterà in Toscana e vincerà il centrosinistra. Che poi si confermerà, salvo sfracelli, anche in Campania e Puglia. Chiuderà la kermesse il Veneto, dove vige il leghismo senza limitismo. Conclusioni: confondere il voto amministrativo con le tendenze nazionali è sempre fuorviante. Alle Regioni sono stati assegnati grandi poteri e laddove vince il potere tende a radicarsi. Dunque i presidenti uscenti è facile vengano rieletti perché hanno sedimentato una presa sul territorio difficile da scalfire. Neppure sventolando le bandiere palestinesi o ricorrendo al mix demagogico-populista del bollo gratis.

Ma questa è soltanto la superficie. Grattando la vernice della propaganda si può scoprire che nel destracentro oltre alla Meloni c’è il vuoto e che nel ‘campo largo’ funziona che se il candidato è del Pd i Cinquestelle non lo votano, mentre se è M5S succede l’inverso. Ottimo collante per un’alleanza, termine peraltro rigettato da Conte stesso. Auguri.

Ma anche questo è soltanto il primo strato. Più in profondità è possibile – anche se rischioso, visto con quanta velocità cambiano le cose da noi e nel mondo – provare qualche analisi più strutturale. Meloni & Co. sfoggiano sorrisi perché ora sanno che gli avversari possono al massimo pareggiare il conto delle vittorie regionali e mai più vincere largheggiando, dimostrando che il vento è cambiato. Se continua così, le urne politiche vedono la presidente del Consiglio nella veste di favorita vincitrice: soltanto un suo inciampo grave può invertire la tendenza.

Nel centrosinistra l’esame delle ragioni della sconfitta è un esercizio finito in soffitta. Meglio agitare qualche spauracchio tinto di rosso. Nel 2022 è stato il pericolo del fascismo alle porte, che invece di penalizzare ha aiutato chi oggi guida il governo. Ora è la volta della possibilità che l’inquilina di Palazzo Chigi traslochi al Quirinale. Ha cominciato Dario Franceschini e poi in scia si è messo Matteo Renzi. Un solo sguardo al calendario ne conferma l’infondatezza. La legislatura scade nel 2027 mentre il mandato di Sergio Mattarella dura fino al 2029. Qualunque minimo frequentatore del Palazzo sa che il capo dello Stato si sceglie nelle ultime due ore prima dello scrutinio decisivo: pensare di individuarlo due anni prima è fantascienza.

Ancora. Preoccuparsi non dell’oggi e neanche del domani o dopodomani – magari provando a definire un percorso pratico-ideale che contenga idee, proposte, scelte capaci di convincere una fetta maggioritaria di elettori a schierarsi dalla propria parte – e invece ragionare addirittura sulla distanza di anni e non per scegliere il profilo giusto da sottoporre ai Grandi elettori bensì unicamente preoccupandosi di sbarrare la strada all’avversario, fa sorgere una domanda tanto semplice quanto lancinante: ma la politica dov’è, quando la fate?

Quesito tutt’altro che trascurabile che, mettendo da parte sia il furbissimo Avvocato del Popolo sia il duo Bonelli-Fratoianni (elettoralmente erede del bacino ex Rifondazione), chiama in causa in primo luogo il Pd e segnatamente la corrente che viene sommariamente definita ‘riformista’. È inane (o ingenuo: a scelta) pensare che la Schlein possa smettere di essere «testardamente unitaria»: lei quello sa fare e quello continuerà a fare. Chi l’ha eletta segretaria pensando che potesse riportare al Nazareno i voti fuggiti verso il grillismo deve ricredersi: è successo il contrario. Dunque o i riformisti smettono i panni di don Abbondio e avviano una battaglia politica vera dentro al partito mettendo in discussione anche la leadership, oppure faranno la parte dei cani che abbaiano alla Luna. Con tanti saluti ai loro continui distinguo. Perché, parafrasando un celebre rivoluzionario, la lotta politica non è un pranzo di gala.

E i cortei? E le masse in piazza? Importanti, importantissime. Ma affinché poi le urne non restino vuote occorre sapere indirizzare quella rabbia e quella voglia di partecipazione. Vuol dire appunto fare politica. Questa sconosciuta.

Di Carlo Fusi

La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

Leggi anche

08 Ottobre 2025
Il campo largo non c’è, ma il Pd di Schlein fa finta di nulla. Esiste un cartello elettorale ma fi…
07 Ottobre 2025
La plenaria di Strasburgo ha approvato a scrutinio segreto l’immunità a favore dell’eurodeputata A…
07 Ottobre 2025
Le democrazie non sono deboli, sono fragili. La loro fragilità è preziosità e delicatezza, rientra…
07 Ottobre 2025
In Calabria Roberto Occhiuto è stato (trionfalmente) rieletto e dovrebbe essere sufficiente per ch…

Iscriviti alla newsletter de
La Ragione

Il meglio della settimana, scelto dalla redazione: articoli, video e podcast per rimanere sempre informato.

    LEGGI GRATIS La Ragione

    GUARDA i nostri video

    ASCOLTA i nostri podcast

    REGISTRATI / ACCEDI