Alcuni nostri politici dovrebbero spiegare la propria devozione a Mosca: servi assoldati dalla Russia per indebolire il nostro mondo. Purtroppo, niente di nuovo sotto il sole.
C’è un singolare, benché comprensibile, capovolgimento logico: ci si occupa dei politici italiani che vanno in devoto pellegrinaggio a Mosca, quasi cancellando la questione più rilevante, ovvero perché mai Mosca pratichi la coltivazione di quella devozione, anche mediante finanziamento. Quanti si trovano nell’imbarazzante condizione di dovere poi provare a giustificare il loro appoggio a una potenza palesemente imperialista e nemica delle libertà, quanti accesero ceri a partiti russi fratelli che praticano la soppressione o l’arresto degli oppositori, usano poi sempre le stesse argomentazioni: ma, in fondo, tutti abbiamo rapporti con quel mondo, i nostri Paesi ci fanno affari. Vero. Sicuro. Ma colpisce l’inversione logica: Mosca gli affari li fa con i Paesi e con i loro sistemi produttivi, non grazie a quattro scodinzolanti che devono pure essere pagati. Ed è quello il punto: perché, allora, li pascola?
Infine, circa i nostri pellegrini, quando Mosca scatena una guerra d’aggressione – cosa che le capita spesso – scoprono subito la loro anima mite, si recano a pregare, si rivolgono al pontefice, vanno in visita ad Assisi. Certo che sto parlando di Matteo Salvini, ma solo per ricordare che sta facendo le stesse identiche cose che fecero Massimo D’Alema, Valter Veltroni e i loro maggiori. Tali quali. Me li ricordo con i bimbi in collo andare in Vaticano, commossi amanti della pace, avverso gli euromissili.
Solo Mosca aveva il diritto di piazzare i missili nucleari contro di noi, mentre noi si sarebbe dovuto porgere l’altra guancia. O l’altra tasca. Me le ricordo le marce fra Perugia e Assisi, con commoventi telegrammi mandati da Leonid Il’ič Brežnev, uno dei campioni mondiali dello sterminio pacificatore. Nei cimiteri. Salvini fa oggi quel che fecero loro. Poi, non badateci, cambiano posizione. La coerenza la praticano con la permanenza. Mai che avvertano: ho detto e fatto cose orribili. No, piuttosto: la situazione è cambiata. Loro no.
Ma la domanda più interessante è: perché Mosca, sovietica o russa, li coltiva? Perché la costante della politica di potenza russa – dallo zar al comunismo e al nazionalismo – è volere frontiere occidentali oltre le quali non vi sia nulla che abbia un peso. Come si scelgono i fedeli? Selezionandoli fra quanti detestano la democrazia, l’Occidente e l’Europa unita. Ci sono riusciti anche negli Stati Uniti, difatti minando la fiducia nelle elezioni. Quando Salvini girava con la felpa “No euro” non faceva che mettere abiti usati dai comunisti che si batterono contro il Sistema monetario europeo. Quando i nazionalisti vanno strologando di Europa diversa non fanno che mettere le scarpe usate dall’Eurocomunismo. Non sto dicendo che sono uguali o che gli odierni nazionalisti siano comunisti – che comunisti non erano neanche i Pci di allora – ma assolvono alla medesima funzione: indebolire il nostro mondo.
Poi ti distrai, preso dall’amore per una Russia grandiosa, struggente, capace di vergare pagine e spartiti meravigliosi, ti distrai un attimo e te li ritrovi lì a darti lezioni di atlantismo. Leggeri e leggiadri Fregoli. Ma il problema non sono loro o, magari, non sono il maggiore. Il problema vero è chi invade Kiev, figlio legittimo della medesima baldracca che partorì gli invasori di Budapest e Praga. Rileggete, se avete stomaco, le dichiarazioni comuniste di allora e apprezzate, dopo anni, i copiaincollisti al servizio del Cremlino che dicono ancora le stesse cose. Tali e quali. Il bersaglio è identico: il nostro mondo, la nostra Europa, il nostro Occidente. Anche le vittime sono le stesse: un popolo russo depredato, con i depredatori che corrono a vivere da noi, dove si sta meglio.
Ragion per cui non molliamo di un capello e agli ammiratori dell’uomo e del sistema forti, dove uno decide, rammentiamo la sorte che toccò ai loro predecessori, una volta slegati: ridicolizzati dalla Storia e ridotti a nascondere quel che furono.
di Davide Giacalone
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