Tranquilli: adesso c’è anche il “Financial Times” che punta la sua prestigiosa fiche sul giochino più in voga sotto l’albero di Natale: dove piazziamo Mario Draghi. L’organo della City spiega che se SuperMario finisce sul Colle l’Italia rischia «l’instabilità politica». Dunque meglio lasciarlo dov’é? Macché. Se pure resta a Palazzo Chigi, sentenzia il quotidiano britannico, sarà per un anno. Poi l’entropia sfonderà gli argini. Il tutto mentre un altro quotidiano, “Politico”, spiega che Draghi «è l’uomo più potente d’Europa». E noi sciagurati saremmo perfino capaci di lasciarlo fuori da tutto: né Quirinale né presidenza del Consiglio. Insomma che si fa, ci appelliamo come sempre allo stellone e facciamo gli scongiuri?
Se davvero fosse tutto un gioco, si potrebbe pure. In realtà in ballo c’è il destino di un Paese e allora le cose si fanno necessariamente più serie. Qualcuno potrebbe perfino dire drammatiche. Diciamo allora che è necessario rovesciare lo schema fin qui perseguito dalla classe politica italiana. L’obbligo per i partiti e l’insieme dei Grandi elettori non è decidere dove mettere Draghi quanto spiegare cosa intendano fare per mantenere in equilibrio il Paese e sfruttare appieno l’occasione offerta dal Recovery per fare le riforme da decenni invocate e mai realizzate, mandando una buona volta in soffitta Penelope e il suo telaio.
Intendiamoci. Mario Draghi non è bravo: è bravissimo. Il migliore di tutti dentro e fuori i confini nazionali e non c’è bisogno di ulteriori riconoscimenti. Ma nessuno Stato può reggersi sulle capacità di un uomo solo seppur al comando: formula che peraltro richiama esperienze passate che è meglio non ripetere. Mario è super ma non ha la bacchetta magica e la democrazia non funziona indicando un demiurgo a cui devolvere il compito di sbrogliare la matassa mentre il resto dei frequentatori del Palazzo continua a guardarsi compiaciuto il proprio ombelico. La patologia italiana è squadernata dal vuoto che circonda il presidente del Consiglio e che ha costretto sia lui che Sergio Mattarella a imboccare una strada tanto produttiva perché «fuori da ogni formula politica». I mesi di SuperMario a Palazzo Chigi dovevano servire a riempire quel vuoto contando sulle capacità, l’autorevolezza, il carisma di un formidabile civil servant. Non sta andando così. Ora che c’è in ballo l’assetto istituzionale, le forze politiche sono più che mai chiamate a un sussulto di responsabilità per spiegare ai cittadini in modo chiaro e convincente come vogliono procedere e cosa intendono fare per mettere in sicurezza il Paese, superando le varie emergenze. Draghi è l’architrave, e per fortuna che c’è. Ma il grattacielo della crescita lo devono realizzare i partiti: se ne sono capaci.
di Carlo Fusi
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