Sovvertimento
Il Consiglio di Stato era stato chiamato a pronunciarsi sulle concessioni balneari, a seguito della proroga al 2033 deliberata dal governo Conte. Una porcheria che sfregia anche il buon senso e che fa a cazzotti con una direttiva europea recepita più di dieci anni fa.
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Il Consiglio di Stato era stato chiamato a pronunciarsi sulle concessioni balneari, a seguito della proroga al 2033 deliberata dal governo Conte. Una porcheria che sfregia anche il buon senso e che fa a cazzotti con una direttiva europea recepita più di dieci anni fa.
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Il Consiglio di Stato era stato chiamato a pronunciarsi sulle concessioni balneari, a seguito della proroga al 2033 deliberata dal governo Conte. Una porcheria che sfregia anche il buon senso e che fa a cazzotti con una direttiva europea recepita più di dieci anni fa.
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Il Consiglio di Stato era stato chiamato a pronunciarsi sulle concessioni balneari, a seguito della proroga al 2033 deliberata dal governo Conte. Una porcheria che sfregia anche il buon senso e che fa a cazzotti con una direttiva europea recepita più di dieci anni fa.
Proprio perché siamo contenti, proprio perché le cose sono andate come era giusto che andassero, ci sentiamo in dovere di avvertire: no, così non si può procedere.
A causa di inutili e vocianti trambusti partitanti, il governo aveva sospeso la discussione sulle concessioni balneari, accomodandosi in una dilatoria iniziativa di censimento e, di fatto, attendendo la sentenza in merito del Consiglio di Stato. La prima cosa è già in sé enorme, perché che occorrano mesi per sapere a chi e come sono dati in concessione i beni demaniali, dello Stato, ha dell’incredibile. In una amministrazione funzionante è un’informazione che si ottiene in poche ore. La seconda è un errore logico e giuridico: sono le leggi a guidare le sentenze, non le sentenze a indirizzare le leggi. Guai a sovvertire quest’ordine. Come, purtroppo, è avvenuto.
A fronte di una proroga al 2033 di quelle concessioni, deliberata dal governo Conte – una porcheria che sfregia anche il buon senso e che fa a cazzotti con una direttiva europea recepita più di dieci anni fa – era stato chiamato a pronunciarsi il Consiglio di Stato. Il quale, giustamente, ha cancellato quella roba inqualificabile. Ma, attenzione, ha aggiunto in sentenza che «al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere» le si deve considerare prorogate fino al 2023. Che è come dire: sono morte da oggi, ma temendo le conseguenze il funerale glielo facciamo fra due anni. Ma dove sta scritto che il Consiglio di Stato debba occuparsi degli impatti socio-economici? Una cosa o è legittima o non lo è, poi tocca al governante e al legislatore occuparsi delle conseguenze. Ma non basta, perché si legge che «oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse intervenire». La logica di tale affermazione è che quella eventualità contrasterebbe in modo insanabile con la disciplina europea, ma è come sentenziare ora per allora, come mettersi avanti con il lavoro nel caso in cui due anni non bastino al Parlamento per coprire il vuoto. E, a questo punto, ci si trova in un vuoto più vasto e spaventevole: il giudiziario che stabilisce contenuti e tempi al governo del Paese.
Non credo che al Consiglio di Stato abbiano voluto appropriarsi di compiti e responsabilità che dovrebbero essergli estranei. Capisco che abbiano messo una pezza sul tessuto logoro dell’insipienza e dell’incapacità politica. Ma, in questo modo, sembra troppo quel che non si può non pensare: hanno fatto da sponda a una presidenza del Consiglio che non era riuscita a far passare l’ovvio. E proprio non è una bella scena.
Colpa di politicanti demagoghi, certamente. Ma ai cittadini deve essere chiaro quel che accade.
di Davide Giacalone
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