Toghe, l’anzianità ha fatto il suo tempo
Il dibattito politico sulla riforma della giustizia è esclusivamente incentrato su due questioni: la separazione delle carriere e la riforma del Csm.
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Toghe, l’anzianità ha fatto il suo tempo
Il dibattito politico sulla riforma della giustizia è esclusivamente incentrato su due questioni: la separazione delle carriere e la riforma del Csm.
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Il dibattito politico sulla riforma della giustizia è esclusivamente incentrato su due questioni: la separazione delle carriere e la riforma del Csm.
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Il dibattito politico sulla riforma della giustizia è esclusivamente incentrato su due questioni: la separazione delle carriere e la riforma del Csm.
Il dibattito politico sulla riforma della giustizia è esclusivamente incentrato su due questioni: la separazione delle carriere e la riforma del Csm. Appare qui superfluo ricordare quanto la paralisi e la lentezza del sistema giudiziario compromettano la certezza del diritto e scoraggino gli investimenti internazionali nel nostro Paese. Per risolvere i problemi in cui versa il nostro sistema giudiziario, appare dirimente superare il meccanismo dell’automatismo delle carriere dei magistrati basato solo sul principio dell’anzianità. Dobbiamo, paradossalmente, tornare al passato.
Con il regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12 vennero disciplinate le modalità di ammissione alla magistratura, prevedendo che, per accedervi, fosse necessario superare il concorso pubblico da uditore giudiziario e il successivo concorso da aggiunto giudiziario.
Compiuti 3 anni di servizio, l’aggiunto giudiziario diventava magistrato di Tribunale. Per diventare, poi, magistrato di Corte d’Appello era necessario superare un terzo concorso. Infine, per diventare magistrato di Corte di Cassazione, era necessario superare un quarto concorso. Seguì la legge 4 gennaio 1963 n. 1, con la quale si stabilì che i magistrati di Tribunale potevano accedere al grado di consigliere di Corte d’Appello superando il relativo concorso pubblico oppure dopo il decorso di 11 anni dalla promozione a tale categoria, partecipando a uno scrutinio valutativo.Lo stesso valeva per i magistrati di Corti d’Appello, i quali potevano conseguire il grado di consigliere di Cassazione superando il relativo concorso oppure dopo 9 anni di carriera.
Il sistema caratterizzato da criteri selettivi meritocratici venne stravolto con la cosiddetta “legge Breganze” del 25 luglio 1966 n. 570, che cancellò il concorso per accedere al grado di consigliere di Corte d’Appello, prevedendo che il magistrato di Tribunale, compiuti 11 anni dalla nomina, potesse essere promosso con la mera valutazione del Consiglio giudiziario distrettuale. Con la legge 25 maggio 1970 n. 357 venne eliminato il concorso per aggiunto giudiziario. Pertanto l’uditore giudiziario, dopo due anni dalla nomina, veniva promosso aggiunto giudiziario. La legge 20 dicembre 1973 n. 831, la cosiddetta “riforma Breganzone”, modificò ulteriormente la normativa, cancellando il concorso per diventare consigliere di Corte di Cassazione, grado al quale il magistrato di Corte d’Appello vi accedeva dopo 7 anni dalla nomina. Più tardi, con la legge 2 aprile 1979 n. 97, venne eliminata la figura dell’aggiunto giudiziario. Un tentativo di riforma si ebbe con la legge delega 25 luglio 2005 n. 150, cosiddetta “legge Castelli”, che avrebbe reintrodotto un sistema di progressione in carriera dei magistrati mediante concorso.Il decreto delegato del 5 aprile 2006 n. 160 non previde l’obbligatorietà del concorso, stabilendo l’accesso alle funzioni di secondo grado dopo 13 anni.
Stesso meccanismo per accedere alle funzioni di magistrato di Corte di Cassazione. Infine, la legge 30 luglio 2007 n. 111, cosiddetta “legge Mastella” e tuttora vigente, ha previsto un sistema suddiviso in sette fasce di anzianità, a cadenza quadriennale, alle quali si accede previa una valutazione da parte del Csm che, in teoria, può avere esiti diversi, ma nell’esperienza di questi anni si è rivelata un mero adempimento formale. In sostanza e in estrema brutale sintesi, oggi un giovane che vince un concorso in magistratura va in pensione con un trattamento retributivo pari a un presidente di Sezione della Cassazione senza che vi sia stata una rigorosa valutazione dei tre criteri indispensabili: numero delle udienze e delle sentenze adottate (produttività); annullamento o cassazione di tali provvedimenti nel grado successivo (qualità); partecipazione all’approfondimento dottrinale nelle sedi scientifiche (competenza). Tutto ciò ricordato, appare significativo sottolineare come in Francia l’attuale ordinamento giudiziario preveda il superamento di tre concorsi per accedere ai diversi gradi della magistratura. Di Cesare San MauroLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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