Trasporti e problemi
No, non siamo su “Scherzi a parte”. Il ministro dei Trasporti nonché vice presidente del Consiglio Matteo Salvini è nell’occhio del ciclone, ma non muove ciglio
Trasporti e problemi
No, non siamo su “Scherzi a parte”. Il ministro dei Trasporti nonché vice presidente del Consiglio Matteo Salvini è nell’occhio del ciclone, ma non muove ciglio
Trasporti e problemi
No, non siamo su “Scherzi a parte”. Il ministro dei Trasporti nonché vice presidente del Consiglio Matteo Salvini è nell’occhio del ciclone, ma non muove ciglio
No, non siamo su “Scherzi a parte”. Il ministro dei Trasporti nonché vice presidente del Consiglio Matteo Salvini è nell’occhio del ciclone, ma non muove ciglio
No, non siamo su “Scherzi a parte”. Magari. Pur se gli elementi per crederlo sono fin troppi: il chiodo a Roma, il pantografo a Milano, la cabina elettrica in una stazione qualsiasi (ieri sospesi i treni a Roma), i guasti strutturali sulle linee dell’Alta velocità di Firenze e Napoli (anche ieri in tilt). No, non è la puntata di un programma satirico ma il calvario che decine di migliaia di cittadini sono costretti a sopportare ogni giorno. Il ministro dei Trasporti nonché vice presidente del Consiglio Matteo Salvini è nell’occhio del ciclone. Anche se l’espressione non gli si addice, visto che non muove ciglio. Piuttosto scarica le colpe su «eredità precedenti» e non si capisce se sia sprezzo del ridicolo o visione surreale delle cose.
Andiamo con ordine. Punto primo. È evidente che se da qualche parte si rompe un pantografo o la linea elettrica salta, al titolare del Ministero non possono essere addossate colpe se non con intenti strumentali. Ma se una infrastruttura fondamentale per un Paese che voglia dirsi civile non funziona e procura dissesti e disservizi continui, allora sì che emerge una precisa responsabilità politica alla quale il ministro non può sottrarsi.
Punto secondo. Scaricare sui predecessori le cause di un malfunzionamento diventato strutturale è operazione consolatoria. Una semplice verifica consente di vedere che al Ministero dei Trasporti si sono avvicendati esponenti politici di vari schieramenti, molti dei quali di centrodestra: Matteoli, Lunardi, Lupi e altri in governi comunque sostenuti dalla Lega. È dunque vero che il disastro attuale ha profonde radici, ma sono radici che affondano nell’incapacità del sistema politico di affrontare e risolvere un nodo strategico dello sviluppo dell’Italia. Nonché un crocevia fondamentale per poter competere col resto d’Europa.
Punto terzo. A proposito di Europa. Ci sono i fondi del Pnrr da utilizzare e – invece di accelerare le procedure e le capacità di intervento – si sentono stravaganti sussurri che lamentano la scadenza troppo ravvicinata del 2026 per completare la messa a regime di una arteria decisiva per i bisogni e le necessità dei cittadini e per la movimentazione delle merci. Ma i piani attuativi del Pnrr sono stati messi a punto dall’attuale esecutivo di cui Salvini fa pienamente parte e proprio nella titolarità dei Trasporti, così come da quello precedente di Mario Draghi che pure il Carroccio ha sostenuto fino a che non ha ritenuto di farlo cadere per andare a elezioni anticipate. Per calcolo politico, dunque. Legittimo, ma dal quale non ci si può divincolare a piacimento.
Punto quarto. La conclamata débâcle dell’Alta (sempre per modo di dire) velocità viene rimirata dalla presidente del Consiglio e dagli altri partner della coalizione con un misto fatto di compiacenza e di indifferenza, come se la cosa non li riguardasse o fosse di secondaria importanza. Eppure l’articolo 95 della Costituzione stabilisce che «il presidente del Consiglio dirige la politica generale del governo e ne è responsabile». E subito dopo che il o la medesima presidente «mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri». Promuovere e coordinare sono concetti sideralmente lontani dallo sconcertante disinteresse finora manifestato. E perciò non si capisce se Meloni, Tajani e i moderati della maggioranza si limitano a guardare l’orologio scommettendo su quando la situazione diventerà così insostenibile da coinvolgerli oppure se sfogliano il lunario nella neppure troppo nascosta speranza che Salvini a un certo punto naufraghi sommerso dalla propria, chiamiamola così, svagatezza. Un calcolo, se esiste, sospeso fra cinismo e irresponsabilità.
Nel frattempo le decine di migliaia di passeggeri di cui sopra se devono viaggiare si fanno il segno della croce oppure arrivano alla stazione di partenza (dove peraltro spesso sono costretti a slalom fatti apposta per disorientare) e passano ore a compulsare i tabelloni elettronici. Sempre che funzionino, beninteso.
di Carlo Fusi
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- Tag: politica
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