Trump nella tela del ragno Putin
Non è necessario aver studiato in modo approfondito la materia per scorgere nel rapporto fra Donald Trump e Vladimir Putin tutte le caratteristiche tipiche di una vera e propria fascinazione
Trump nella tela del ragno Putin
Non è necessario aver studiato in modo approfondito la materia per scorgere nel rapporto fra Donald Trump e Vladimir Putin tutte le caratteristiche tipiche di una vera e propria fascinazione
Trump nella tela del ragno Putin
Non è necessario aver studiato in modo approfondito la materia per scorgere nel rapporto fra Donald Trump e Vladimir Putin tutte le caratteristiche tipiche di una vera e propria fascinazione
Non è necessario aver studiato in modo approfondito la materia per scorgere nel rapporto fra Vladimir Putin e Donald Trump tutte le caratteristiche tipiche di una vera e propria fascinazione.
Nonché della capacità del più furbo e preparato di saper sfruttare le leve del solletico profondo e strategico dell’ego del narcisista.
Gli effetti di tutto ciò risultano nefasti per la credibilità e l’equilibrio degli Usa
Il punto è che gli effetti di tutto ciò risultano nefasti per la credibilità e l’equilibrio degli Stati Uniti d’America, il Paese da cui non si può prescindere. Sia per una banale considerazione legata alla forza economica, militare e politica degli Usa, sia per l’eredità inalienabile e irrinunciabile dell’atlantismo e dell’occidentalismo.
Il punto, a nostro modesto avviso, è proprio questo: il veleno di Vladimir Putin si insinua nei gangli dell’amministrazione del Paese che – pur con tutte le contraddizioni, i limiti e difficoltà che nessuno di noi ha mancato di sottolineare per decenni – incarna la summa dei valori che ci fanno sentire parte di una comunità.
Fatta anche di interessi, ma pur sempre figli di una concezione del mondo, delle relazioni fra gli esseri umani e gli Stati costruita sul diritto internazionale. Ci permettiamo di aggiungere, su secoli di pensiero occidentale.
Che la realizzazione pratica di tutto ciò, come si accennava, sia passata attraverso errori madornali e veri e propri tradimenti del nostro pensiero e della nostra anima (si pensi alla disastrosa ritirata dall’Afghanistan di quattro anni fa) è pacifico. Eppure, sino all’avvento di Trump, non si era mai pensato che in una delicata trattativa internazionale gli Stati Uniti d’America potessero abbracciare acriticamente il punto di vista di un autocrate e di un Paese storico avversario e già nemico giurato degli Usa.
Vladimir Putin piace da matti a Donald Trump
Senza farla troppo lunga, perché Vladimir Putin piace da matti a Donald Trump. Gli piacciono le sue posture da uomo forte, il suo incedere “imperiale“, al punto da concedergli un incredibile tappeto rosso nel vertice di Anchorage in Alaska, manco fosse il più affidabile degli alleati e amici e non un nemico giurato e dichiarato dei propri (veri) alleati di ottant’anni di dopoguerra.
Lo sospettavamo anche prima ma dopo l’Alaska ne abbiamo avuto una conferma clamorosa: in un faccia a faccia Putin-Trump, vincerà sempre il primo. Pensate alle garanzie di sicurezza da dare all’Ucraina: in altri tempi se un leader russo avesse preteso il diritto di veto sulla possibilità di intervento americana e occidentale qualsiasi interlocuzione si sarebbe interrotta all’istante, fino a quando a Mosca non avessero ripreso l’uso della ragione. In questo caso, Trump se n’è stato zitto e il suo vice Vance ha precipitosamente chiarito che gli americani al massimo potrebbero partecipare alla sicurezza ucraina con un piccolo intervento aereo.
Putin osserva, prende nota e sposta sempre un po’ più su l’asticella delle sue richieste, giocando una partita tanto scoperta quanto efficace sulla psiche dell’uomo alla caccia del Nobel.
di Fulvio Giuliani
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