Il Consiglio federale della Lega si è concluso senza strappi, alla democristiana. Le divisioni tra Salvini e Giorgetti ci sono ma non sono questi i tempi adatti per le rotture, meglio aspettare fino all’elezione del nuovo capo di Stato.
Colorato di infiniti retroscena, di epica gladiatoria e di altre fregnacce politichesi, il Consiglio federale della Lega si è concluso senza strappi, alla democristiana. Non che non esistano le divisioni tra Matteo Salvini, il leader politico, e Giancarlo Giorgetti, ministro nella squadra di Draghi.
È che, per le rotture, questi tempi non sono adatti. Per una ragione: fino all’elezione del nuovo capo dello Stato (febbraio 2022) la tenzone non gioverebbe a nessuno. La gran tarantella sul Consiglio federale un pregio l’ha comunque avuto: quello di far riflettere su alcuni aspetti politici.
1. La Lega ha una sede dove parlare, confrontarsi e nel caso dividersi, cosa che in tempi di politica liquida – basti ricordare il mito grillino della Rete come luogo di dibattito – è una buona cosa.
2. Il tema europeo, di rimbalzo, è una questione su cui la Lega dovrà tornare.
Salvini in questa occasione l’ha tirato fuori strumentalmente per mandare un messaggio a Giorgetti, ribadendo che la Lega non entrerà mai nel Partito popolare europeo alleato della sinistra (anche se in Italia la Lega governa con Fi e Pd).
Troppo presto per parlarne ma un modo per sottolineare chi detta la linea, senza scontrarsi direttamente. Poiché le tregue non durano in eterno, dopo la scelta del nuovo inquilino del Colle – che potrebbe cambiare altri equilibri politici, non solo leghisti – vedremo se lo scontro ripartirà.
Del resto, come ripeteva Giulio Andreotti, «in politica i tempi del sole e della pioggia sono rapidamente cangianti».
di Massimiliano Lenzi
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Tag: Italia
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